«Ma perché non ripartono da lì?». E come se l’è chiesto Carlo Calenda in un video su Twitter, in molti si fanno la stessa domanda. Perché non ripartire da quella Strategia Energetica Nazionale datata 2017 per formulare il nuovo green new deal italiano?
L’ex ministro dello sviluppo economico nei governi Renzi e Gentiloni lo nomina il “foglio del come”, descrivendone le fattezze come quelle di un manifesto che va oltre la sbronza green degli ultimi mesi e affonda la sua grammatica su un solido piano di tagli e investimenti.
Le prime, disordinate, dichiarazioni del nuovo governo rivelano, invece, un giro di vita fiscale come principale macro strumento di rigenerazione ambientale: tassazione di bibite, merendine, voli aerei e diesel auto. Il problema, però, sembra essere quello delle coperture, cosicché un aumento del costo del gasolio si erge come una delle vie più percorribili, dimentichi forse di quella descrizione che li vedeva come il governo no-tax. Ma poco importa, le misure nella mente del Ministro Sergio Costa sono destinate a tradursi in incentivi alla rottamazione delle auto inquinanti e sgravi per prodotti senza imballaggio.
La sfida lanciata dal fondatore di Siamo Europei porta a galla istanze trattate e poi lasciate cadere nell’oblio. Il documento proponeva la chiusura di tutte le centrali a carbone entro il 2025, di portare la percentuale delle fonti rinnovabili dal 17,5 per cento del 2015 (salito al 18,3% nel 2017) al 28 per cento nel 2030 e, alla fine del percorso, in linea con la strategia europea, la riduzione di almeno l’80 per cento delle emissioni, entro il 2050, rispetto al 1990.
Viene istintivo, inoltre, fare un confronto tra i piani stilati dagli Usa, con la democratica Ocasio-Cortez, il Klimapaket della Grosse Koalition tedesca e quello abbozzato dal nostro esecutivo. Se la Strategia Energetica Nazionale di Calenda costruiva le sue fondamenta su un fattore competitivo in grado di ridurre il gap di prezzo e di costo dell’energia rispetto all’Europa in un contesto di prezzi internazionali crescenti, quello attuale tende per certi versi a esserne una brutta copia, affondando sotto i colpi statunitensi e tedeschi, con quest’ultimi che ipotizzano un piano per la protezione del clima da 54 miliardi complessivi per il 2023 e da 100 miliardi al 2030, il tutto senza aumentare il debito pubblico.
Sia chiaro: come oggi quello del governo giallorosso, il piano di Calenda registrava un dispendio economico non indifferente. Detto questo, le voci del bilancio parlavano comunque di un vuoto a rendere, con un investimento in ricerca e sviluppo tecnologico clean energy – indirizzato a realizzare i target – incrementabile dai 222 milioni del 2013 ai 444 milioni nel 2021. Gli investimenti programmati nel totale erano al 2030 di 175 miliardi, di cui 30 miliardi per reti e infrastrutture gas ed elettrico, 35 miliardi per fonti rinnovabili e 110 miliardi per l’efficienza energetica. Il tutto rendicontato da un aumento delle rinnovabili e da una minore dipendenza energetica dall’estero, che sarebbe dovuta passare dal 76 per cento del 2015 al 64 per cento del 2030 con un conseguente risparmio di circa 9 miliardi di euro sulla bolletta energetica nazionale.
Al momento, viceversa, non ci è dato sapere l’entità monetaria della svolta green promossa da Costa, anche se, a rigor di conti, fondare l’intero progetto sull’aumento della tassazione erga omnes in grado di rastrellare una manciata di miliardi, può risultare un tantino rischioso. E non importa se, come diceva l’economista Padoa-Schioppa, le tasse sono una cosa bellissima: le misure promosse fino a questo punto sono fortemente contestabili e costose sul pinao politico, pertanto, vale la pena dare un’occhiata a quello che di buono è rimasto tra le righe della Strategia Energetica Nazionale.
La livrea verde passa, prima e soprattutto, da una transizione energetica in un’ottica per la quale, a detta dell’ex ministro dem, le raffinerie lascerebbero il posto alle bioraffinerie, con un uso crescente di biocarburanti sostenibili e del gas naturale liquefatto per i trasporti pesanti e marittimi, al posto dei derivati del petrolio. Non dalla sugar tax, con tutto il rispetto parlando.
Lontani da quel paper del 2017 anche gli investimenti rivolti alle reti, mai citati dalle attuali cariche politiche. In altre parole, un progetto costruito e redatto in casa Pd, con gli allora ministri Carlo Calenda (Sviluppo economico) e Gian Luca Galletti (Ambiente), ma soprattutto con la firma dell’attuale Ministra Bellanova, ai tempi in possesso della delega all’energia, rimane ad oggi estraneo ai vertici governativi. Ma non al mondo produttivo, con oltre 250 tra associazioni, imprese, organismi pubblici, cittadini ed esponenti del mondo universitario che ai tempi formularono osservazioni e proposte, per un totale di 838 contributi tematici a sostenere le tesi come del resto a criticarne la forma, con particolare attenzione al passaggio dal carbone al gas naturale. Basta solo, alla fin fine, soffiare via quel filo di polvere dalle 300 pagine del documento, magari leggerlo e, senza imbarazzo, denominarlo il green old deal.
https://www.linkiesta.it/it/article/2019/09/26/carlo-calenda-green-new-deal-ambiente-pd/43704/