L’Iva doveva essere rimodulata, invece non si tocca. L’idea dello ius culturae è riaffiorata nel dibattito pubblico, e subito è stata accantonata. La revisione dei decreti sicurezza è prontamente scomparsa dall’agenda politica. Sono le tre marce indietro più notevoli compiute dalla nuova maggioranza di governo. Tutt’e tre accomunate da un unico motore immobile: il terrore di regalare a Matteo Salvini un’arma da puntare contro il governo.
Per non scoprire il fianco agli attacchi scomposti della destra sovranista, i partiti della maggioranza sono tornati sui propri passi. Senza però evitare gli attacchi degli avversari. I quali, incuranti dei loro tentennamenti, si sono portati avanti con il lavoro, scatenando preventivamente una guerra alle intenzioni, con gli stessi slogan che avrebbero urlato se i provvedimenti fossero stati approvati. “Ci mettono le mani in tasca”. “Minano l’italianità”. “Riaprono i porti”.
Così, sebbene rispedito formalmente all’opposizione, Matteo Salvini continua a governare l’Italia, condizionandone le priorità. Il capo della Lega è rimasto nella plancia di comando del Paese, sotto forma di fantasma che agita il sonno di chi l’ha spinto ai margini del Palazzo. È nella testa di Matteo Renzi, il protagonista dello scacco matto che l’ha messo all’angolo. Tanto è vero che alla telefonata del presidente del consiglio Conte che, domenica, gli chiedeva conto di quale diavolo fosse il problema sull’Iva, egli ha risposto: «Io un regalo a Salvini non lo faccio, Giuseppe: l’Iva non si tocca».
È nella testa di Luigi Di Maio, allineato con Renzi sull’idea di dare alla manovra il titolo: «Noi le tasse non le alziamo». Nonostante che l’idea di rimodulare l’aliquota su alcuni beni non sia estranea alla cultura del Movimento. Come ha detto ieri a La Stampa Laura Castelli, spiegando che non è «ragionevole che sulle patatine fritte ci sia l’imposta al 4%» e ricordando che nei mesi scorsi il Movimento ha «tentato senza successo di abbassare imposta sugli assorbenti femminili». Niente da fare. I vertici del Movimento 5 stelle l’hanno subito costretta alla precisazione. «L’Iva non sia aumenta» ha scritto in una nota dettata dai vertici del Movimento e da un sentimento che orienta le loro mosse: il timore che Salvini li possa sbranare.
Lo spettro di Salvini è apparso addirittura nella motivazione con cui l’arcivescovo di Monreale Michele Pennisi ha preso posizione contro l’idea del ministro Fioramonti di togliere il crocefisso dalle aule scolastiche: «Servirebbe solo ad aiutare il leader della Lega, Matteo Salvini», ha detto. Nonché nell’editoriale di ieri del giornale che più ha sostenuto la nascita di questo governo, Il Fatto Quotidiano: «I diritti – ha scritto Marco Travaglio, polemizzando con la proposta di Giuliano Pisapia di abolire i decreti sicurezza e votare subito lo ius culturae – sono cruciali, ma nel 2019, con le destre al 45%, un governo d’emergenza dovrebbe prima rassicurare la maggioranza degli italiani su troppe tasse, poco lavoro, immigrazione clandestina incontrollata ecc. e poi dedicarsi alle minoranze».
Sbattuto fuori dal ministero degli interni, Salvini è entrato nella strategia di ogni ministero. Per prevenire il trionfo delle sue parole d’ordine, si architettano strategie che le realizzino, negandogli però la possibilità di rivendicarne l’applicazione. Un po’ come succedeva negli anni Sessanta, quando i partiti della sinistra erano fortissimi nell’opinione pubblica e i governi, per arginarli, si premuravano di fare al posto loro le riforme che essi proponevano di compiere. Diciassette anni fa, John Halloway lo teorizzò finanche in un saggio: Cambiare il mondo senza prendere il potere. Aveva in mente il movimento contro la globalizzazione e le sue magnifiche sorti e progressive. E oggi, che gli ultimi no global rimasti sono i no global di destra, lo si potrebbe maliziosamente parafrasare così: Chiudere il mondo senza prendere il potere. Al momento, Matteo Salvini sarebbe l’uomo più indicato per scriverne la prefazione.
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