Alberto Testone nel film Il Peccato. Il furore di Michelangelo. Foto di Andrea De Fusco
Modesto e vanitoso, stravagante e misantropo, avaro e generoso, violento, permalosissimo e intransigente, il genio toscano si prepara a svelare il suo volto terribilmente umano sullo sfondo di un’epoca restituita con altrettanta onestà.
Prodotto da Andrei Konchalovsky Studios, Jean Vigo Italia e Rai Cinema, e interamente girato in Italia, Il Peccato. Il furore di Michelangelo sceglie di concentrarsi su un preciso momento della vita dell’artista, per raccontarlo attraverso la lente immaginifica propria del regista russo, che spiega: il film “è inteso come una ‘visione’, genere che fu popolare nel Medioevo ed ebbe il suo culmine nella dantesca Divina Commedia. Questo genere offre ampie possibilità di interpretazione dei personaggi e dei fatti per far luce sulla coscienza del genio, uomo del Rinascimento con le sue superstizioni ed esaltazioni, il suo misticismo e la sua fede nei miracoli”.
“La poetica del film – continua il regista – nasce dall’intreccio tra la barbarie, che non intende ritirarsi dalla scena, e la straordinaria capacità dell’occhio umano di vedere la bellezza intramontabile del mondo e dell’uomo da trasmettere alle generazioni che verranno”.
Nei panni del protagonista vedremo l’attore italiano Alberto Testone, scelto dopo un lunghissimo lavoro di casting sulla base dei ritratti che abbiamo dell’artista. Per lui come per gli altri ruoli – dai figuranti ai personaggi storicamente noti – il regista cercava “facce che raccontassero vite, volti calpestati dal tempo che avessero il respiro e la forza per restituire un’umanità autentica”, in omaggio a Pasolini e al Neorealismo italiano. Ne sono esempio i lavoratori delle cave delle Alpi Apuane scritturati per rappresentare se stessi all’interno di un paesaggio, quello del Monte Altissimo, che assume la centralità di un co-protagonista.
Se l’individuazione dei set tra le cave del marmo ha rappresentato una delle sfide più ardue, uguale attenzione è riservata nel film al contesto storico in cui Michelangelo si muove. In questo hanno aiutato le consulenze dello scrittore Costantino Paolicchi, dell’architetto e restauratore Antonio Forcellino, tra i massimi esperti dell’artista, dell’etnoantropologo Alessandro Simonicca per le musiche e i suoni del tempo, dello storico Andrea Baldinotti, del dantista Donato Pirovano. L’obiettivo, tuttavia, non era la mera ricostruzione filologica, bensì un’immersione anche sensoriale in un’epoca “sanguinosa e crudele, ma piena di ispirazione e bellezza”, un affresco totale in cui nessun elemento prevalesse sugli altri.
“C’è un Cinquecento cancellato dall’immaginario contemporaneo delle serie televisive e dei film hollywoodiani, che ci offrono un secolo fatto di mani troppo morbide, unghie laccate, capelli vaporosi, dove gli artisti, anche i grandissimi artisti come Raffaello, Michelangelo, Leonardo, sembrano delle cocottes accucciate ai piedi dei potenti”, commenta Forcellino: “Andrei Konchalovsky ha frantumato questo finto universo”.
“Il film – continua lo studioso – è un capolavoro in cui si piange e si esce un po’ frastornati, tanto è diverso da tutto ciò a cui siamo stati abituati negli ultimi trent’anni. Con Il Peccato si entra nelle case vere e nei sentimenti veri del Rinascimento, se ne sentono gli odori raffinati e i fetori insopportabili. Si esce con l’impressione di aver capito finalmente qualcosa di importante: che la chiave del Rinascimento italiano e del lavoro di Michelangelo fu il coraggio, forse troppo cinico, ma il coraggio di andare oltre tutti i limiti che avevano tenuto prigionieri gli uomini per mille anni, e oltre quei limiti aprire le strade che hanno portato alla nostra modernità”.