Il segretario Dem Nicola Zingaretti apre la convention sulla rifondazione del Pd in vista degli “anni Venti” del terzo millennio. Per il partito rischio solitudine: contro Salvini e senza M5s. Il 26 gennaio la vera partita: le elezioni in Emilia Romagna
di Emilia Patta
Swg, in corsa Lega e Pd, rallentano M5S e Renzi
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Nicola Zingaretti apre la convention di Bologna sulla rifondazione del Pd in vista degli “anni Venti” del terzo millennio con una consolazione in vista delle importanti elezioni in Emilia Romagna del 26 gennaio prossimo: solo poche ore fa piazza Maggiore si è riempita di migliaia di bolognesi in protesta contro un’iniziativa elettorale del leader della Lega Matteo Salvini. Una protesta pacifica, silenziosa e forte che fa sperare nella “resistenza” degli emiliani e dei romagnoli di fronte a un centrodestra sempre alto nei sondaggi nazionali e competitivo anche in Emilia Romagna.
Il rischio di un Pd solo contro Renzi e Di Maio…
Una convention, quella organizzata dal segretario del Pd, che avrebbe dovuto celebrare la nuova fase – ossia il ritorno al governo e l’alleanza con il M5s – ma che rischia di certificare un Pd ancora una volta solo: contro l’ex segretario e premier Matteo Renzi, che in contemporanea (non a caso) alla kermesse bolognese lancia da Torino il suo piano shock da 120 miliardi per rilanciare l’economia, e soprattutto senza più quell’alleanza strutturale con il M5s su cui Zingaretti aveva puntato molto per costruire anche in prospettiva l’alternativa alla destra sovranista egemonizzata da Salvini.
Dopo la debacle dell’alleanza M5s-Pd in Umbria, infatti, il capo politico del Movimento ha preso tutte le distanze possibili dichiarando finito l’esperimento. Tanto che alle regionali in Emilia Romagna il Pd, quasi solo a sostenere il governatore uscente Stefano Bonaccini (Italia Viva candiderà i suoi nella lista civica che porta il nome del governatore), non sa ancora se avrà un candidato governatore pentastellato contro oppure il M5s concederà una non ostile desistenza rinunciando a presentare la lista.
… e solo a difendere la manovra economica e il premier Conte
In queste condizioni l’alternativa va comunque costruita e immaginata con il Pd perno centrale: la tre giorni bolognese è stata pensata in grande: sindaci e amministratori da tutta Italia, tutti i ministri dem presenti a cominciare dall’autore della complicata legge di bilancio Roberto Gualtieri, i leader dei tre sindacati confederali a partire da Maurizio Landini e nella giornata di chiusura anche il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia. Ma per andare dove, ancora non è chiaro. E intanto il Pd rischia di restare schiacciato tra la propaganda e le iniziative contrapposte di Renzi e di Maio e solo a difendere la difficile manovra economica e il ruolo di sintesi che cerca di esercitare il premier Giuseppe Conte.
Le mofidiche allo statuto e la vocazione maggioritaria “a metà”
Anche le modifiche allo statuto che saranno approvate dall’assemblea nazionale convocata eccezionalmente a Bologna domenica pomeriggio, a chiusura della convention, riflettono in un certo senso l’incertezza del futuro. La vocazione maggioritaria di veltroniana memoria, ossia l’ambizione a parlare e a rappresentare tutti gli italiani con una sorta di autosufficienza, è finita per forza di realtà: come ha avuto modo di ricordare spesso dopo la sconfitta alle elezioni del 2018 l’ex premier Paolo Gentiloni, ora commissario Ue agli Affari economici e ancora formalmente presidente del Pd, con una prospettiva elettorale tra il 20 e il 25% non si governa e la coalizione è necessaria. Soprattutto ora che si va verso un sistema proporzionale. Dunque il segretario del Pd non può più pretendere si essere il candidato premier: da qui la decisione di togliere l’automatismo previsto dallo statuto del Pd, ossia la coincidenza dei ruoli di segretario del partito e candidato premier alle elezioni politiche.
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