Antonello Falqui con Mina (foto Fotogramma)
Pubblicato il: 16/11/2019 11:06
Di Paolo Martini “Con la regia di Antonello Falqui” milioni di telespettatori, radunati intorno al piccolo schermo, prima in bianco e nero e poi a colori, hanno sognato con il varietà: da “Il Musichiere” (1957-60), presentato da Mario Riva, a “Canzonissima” (1958, 1959, 1968, 1969), da “Studio Uno” (1961, 1962-63, 1965 e 1966), con Mina, le gemelle Kessler, il Quartetto Cetra, Walter Chiari e Rita Pavone, fino a “Milleluci” (1974), con Mina e Raffaella Carrà. Un genere al quale il regista – protagonista assoluto, indiscusso e pionieristico della storia del varietà della Rai – ha dato piena dignità, nutrendo, al pari della commedia all’italiana sul grande schermo, l’immaginario degli italiani, offrendo in tv un sabato sera leggero, accattivante e allo stesso tempo di qualità.
E Falqui ci è riuscito benissimo, circondandosi dietro le quinte di grandi professionisti (autori, scenografi, costumisti, direttori della fotografia, coreografi e musicisti) e guidando per mano attori, cantanti e ballerini che hanno rivestito decine di ruoli sul video. Nella storia della tv italiana, Falqui ha rappresentato il passaggio dalla fase provinciale e ‘casalinga’ dei primi show ad un periodo di grande professionalità, contraddistinto da spettacoli più complessi e articolati, basati sulla creatività della ripresa e delle coreografie, sul richiamo di star italiane e straniere e sulla ricchezza delle proposte scenografiche.
Nato a Roma il 6 novembre 1925, figlio del critico e scrittore Enrico Falqui, Antonello si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università della Sapienza, che lascia prima della laurea, attratto dal cinema. Dal 1947 al 1949 frequenta il corso di regia del Centro Sperimentale di Cinematografia. Interrompe il Centro Sperimentale per dedicarsi alla sua prima esperienza come aiuto-regista nell’unico film dello scrittore Curzio Malaparte, “Cristo proibito”, girato nel 1950. Falqui, che ancora non aveva completato il corso di regia, era affascinato dalla proposta del romanziere e giornalista che gli consentiva di realizzare finalmente le esperienze di teorie appena acquisite.
Dopo quel primo film, lavora ancora come aiuto-regista accanto a Anton Giulio Majano, Camillo Mastrocinque e Mario Soldati. Successivamente affronta la regia di alcuni documentari, tra cui quello di esordio “Il fiume nero”, fino a quando, nel 1952, realizza per la televisione, ancora in fase sperimentale, alcuni programmi nella sede di Milano. Fra gli altri lo segnala particolarmente all’attenzione quello intitolato “Vita e conclave: Pio XII”, che costituisce per il giovane regista la precisa presa di coscienza del mezzo televisivo.
Ne scopre una dimensione più ampia poco più avanti, nel 1953, quando si occupa di una delle prime rubriche “Arrivi e partenze”, poi proseguita a Roma sino al 1955. Era presentata da Mike Bongiorno e consisteva in una serie di incontri con personaggi famosi che arrivavano o partivano da Milano e poi Roma.
Ma è con “Il Musichiere”, accanto a Garinei e Giovannini, che Falqui comincia a realizzare appieno alcuni aspetti della sua concezione dello spettacolo leggero. La trasmissione domina le annate televisive 1958, 1959 e 1960. Mario Riva, che ne è l’animatore e il presentatore, diventa un personaggio nazionale, mentre tutta l’Italia si appassiona a quel gioco musicale.
“Il Musichiere – ha affermato Falqui – è stato un po’ la riprova delle capacità che ha la televisione di rendere collettivi certi fenomeni. In questo senso era interessante scoprire la dimensione ‘discreta e domestica’ del piccolo schermo, che, senza violare l’intimità della famiglia, introduce nella società nuovi modelli di partecipazione alla comunità. E poi l’italiano rimaneva appagato nel suo ‘bisogno musicale’ che, ironicamente, era espresso nelle forme avvincenti della gara”.
Falqui aveva perfettamente capito certe peculiarità dello spettacolo musicale e, non a caso, tra le quattro “Canzonissime” (1958, 1959, 1968 e 1969) da lui dirette, due hanno avuto un notevolissimo successo e l’edizione con Delia Scala-Manfredi-Panelli, è rimasta uno dei modelli fondamentali per le successive trasmissioni legate alla lotteria di Capodanno.
Nel 1961 dirige “Giardino d’inverno” con Gorni Kramer, Alice ed Ellen Kessler, Henri Salvador, il Quartetto Cetra e le Bluebell Girls del Lido di Parigi, uno show che fece epoca nell’Italia del boom economico. Ma è una visita negli studi televisivi americani, datata agli inizi degli anni Sessanta, gli permette di rinnovare il genere del varietà raggiungendo elevati livelli di qualità, concependo e realizzando una nuova forma di rivista televisiva. E’ la formula di “Studio Uno” (1962) che, abbandonati i luoghi comuni della rivista tradizionale, si propone in una chiave squisitamente televisiva. Lo spettacolo è accolto con grande favore: il pubblico italiano scopre Mina, il personaggio più caro al regista.
Durante questi anni, Falqui sperimenta nuove intuizioni registiche, oltre che nella rivista tout court anche nella commedia musicale e l’operetta, tutti generi che poi troveranno una nuova e originale formula nel fondamentale “Biblioteca di Studio Uno” del 1964, affidata al Quartetto Cetra. La maestria del regista Antonello Falqui è consacrata definitivamente nelle edizioni di “Canzonissima” del 1968 con Mina, Walter Chiari e Paolo Panelli e del 1969 con Johnny Dorelli, Raimondo Vianello e le gemelle Kessler.
Con lo stesso qualificato staff di collaboratori dei programmi Rai, negli anni Settanta curerà numerosi caroselli per la pasta Barilla dirigendo Mina con provato mestiere e ricreando in pochi minuti le atmosfere dei varietà del sabato sera. Gli anni Settanta e Ottanta sono caratterizzati da una lunga serie di regie di spettacoli che man mano abbandonano l’intrattenimento puro a base di sketch e canzonette per approdare a una rilettura sociale e storica dell’arte popolare. Oltre a “Dove sta Zazà” (1973), con Gabriella Ferri, Pippo Franco e Pino Caruso, significativi in tal senso sia gli esperimenti con Paolo Villaggio, protagonista della serie di “Giandomenico Fracchia”, e Gigi Proietti, protagonista di “Fatti e fattacci”, entrambi del 1975, che i varietà nostalgici come “Milleluci” (1974) e “Al Paradise” (1983-85), con Milva, Oreste Lionello, Heather Parisi.
“Mazzabubù” (con Gabriella Ferri, Pippo Franco, Enrico Montesano, Oreste Lionello e Gianfranco D’Angelo), “Bambole, non c’è una lira” (con Isabella Biagini, Loredana Berté, Christian De Sica, Pippo Franco, Leopoldo Mastelloni, Tino Scotti e Gianni Agus), “Il ribaltone (con Pippo Franco, Loretta Goggi e Daniela Goggi), Studio ’80” (con Christian De Sica, Leopoldo Mastelloni e Nadia Cassini, “Palcoscenico” (con Milva e Oreste Lionello”, “Come Alice” (con Claudia Vegliante e Carlo Verdone), “Sai che ti dico?” sono solo alcuni nei numerosi programmi diretti da Falqui fino alla metà degli anni Ottanta.
Dal 1990 il regista ha abbandonato il piccolo schermo dedicandosi sporadicamente all’insegnamento della regia televisiva in lezioni tenute all’Accademia di Belle Arti di Macerata e presso la società di produzione televisiva e distribuzione di format Einstein Multimedia, di cui è stato anche consulente. A Falqui è stato dedicato il film “Il conte Max” del 1991 diretto da Christian De Sica.
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