Rafa Nadal, un uomo non solo al comando. L’abbraccio con Roberto Bautista Agut dopo il match point, con Bruguera e tutta la squadra celebra l’unione che ha fatto la differenza nel nuovo formato della Coppa Davis. La Spagna è un totale superiore rispetto alla somma delle parti. Sergi Bruguera, 32mo capitano ad alzare la Davis, ha usato tutti i cinque giocatori convocati: Roberto Bautista Agut, Pablo Carreno, Marcel Granollers, Feliciano Lopez, e Nadal. In finale contro il Canada ha messo in campo la squadra migliore, il numero 1 e il numero 9 del mondo. Bautista, rientrato dopo la morte del padre, ha battuto 76 63 Felix Auger Aliassime. Ha commosso l’intero pubblico che ha affollato il Centrale e aperto la strada a Nadal, al 63 76 su Shapovalov.
L’armata di Spagna, invincibile alla Caja Magica, festeggia il sesto successo in Davis dopo i trionfi del 2000 sull’Australia, del 2004 sugli Usa (battuti a Siviglia con Moya e Nadal primi attori), del 2008 e del 2011 sull’Argentina, e del 2009 sulla Repubblica Ceca. Alla forza del destino che anima le grandi passioni.
Il “Mondiale del tennis”, lo slogan con cui è stata lanciata ed etichettata questa prima edizione con fase finale in sede unica, va un po’ come i Mondiali di calcio che Gerard Piqué, difendore della nazionale spagnola e capo della Kosmos che ha proposto il cambio di format, conosce bene. Ovvero: per vincere non basta un solo campione, se dietro non c’è una squadra. Ma le squadre unite, se non hanno un campione, difficilmente possono contrastare chi può vantare almeno un asso pigliatutto.
Il Canada, arrivato dopo novant’anni di partecipazione alla prima finale della sua storia, ha retto per tutta la settimana con due soli giocatori, Denis Shapovalov e Vasek Pospisil, che hanno giocato singolare e doppio in tutte le partite. Il capitano Frank Dancevic, però, azzarda Felix Auger-Aliassime come primo singolarista contro Roberto Bautista Agut che gioca con 10 mila alleati nel Centrale della Caja Magica. Ha lasciato la nazionale per assistere il padre nelle sue ultime ore di vita. Lo sport passa in secondo piano, ma può aiutare a gestire il dopo.
La responsabilità come rifugio, la gioia da condividere come un lascito e una dedica. Gioca, vince, chiude l’ultimo punto con la coppa Davis illuminata alle spalle ecome primo riflesso si volta a guardarla. Poi si scioglie mentre ventimila sguardi lo inseguono per trasmettergli ammirazione e sostegno, orgoglio e gratitudine. “Siete stati straordinari, non cambierei niente della giornata di oggi” dice nell’intervista a caldo.
Auger-Aliassime, scelto al posto di Vasek Pospisil arrivato più che in riserva alla semifinale contro la Russia, tiene per un set ma alla lunga perde fiducia nel suo dritto lungolinea. Il canadese vince meno di un punto su due con la seconda e commette sei doppi falli, un aspetto che ha condizionato tutta la sua stagione.
Finita la partita, Roberto Bautista cerca il resto della squadra. Prende la rincorsa per scivolare nell’abbraccio di gruppo. Cerca Nadal, che ha ricordato quanto il valore della sua sola presenza. E’ tornato dopo la morte del padre, due giorni dopo era in campo per omaggiare la sua storia e per un po’ dimenticare. Concentrarsi sul gioco, sulla passione che lo muove da quando di anni ne aveva undici e ha deciso di smetterla con il calcio: giocava da ala nelle giovanili del Villarreal, dicono che fosse anche piuttosto bravo.
Ha carattere, ma non quello che passa per cattivo carattere. Già l’anno scorso, ha cercato rifugio nell’abitudine dello sport per allontanare il dolore, per concentrarlo almeno qualche ora in fondo all’anima. Una settimana dopo la morte della madre, era in campo al Roland Garros contro Djokovic.
Nella nazionale, Bautista Agut sa che avrà sempre una famiglia. Avrà qualcosa di più di una squadra, e la differenza sta negli sguardi, negli abbracci con Bruguera e i compagni. Ha urlato “Vamos” contro il cielo e verso il cielo, nel finale di un secondo set che ha assunto i tratti dell’inevitabilità. E’ l’inizio di un percorso che pare già scritto, di una sceneggiatura in cui la gioia del successo trascolora nella malinconia, nostalgia per quel che si è perso e non potrà tornare.
“A nome di tutti i tifosi nella Caja Magica, grazie” esordisce l’intervistatore dopo la partita. Bautista non trattiene il pianto, commuove la parte di Spagna che ha giocato con lui e per lui. Celebra la prima vittoria su un top 150 in Coppa Davis, alla sua prima finale.
Tristezza e amore si impastano sul suo volto che diventa il volto di Spagna. Diventa il simbolo di quel “Plus ultra” (“superare i propri limiti”) che è il motto di Spagna, scritto anche sulle colonne d’Ercole che incorniciano gli stemmi dei quattro regni di Castiglia, Aragona, Granada e Navarra nella “Rojigualda” (la bandiera nazionale).
Quando Nadal ha perso il suo primo, e finora unico, singolare in Coppa Davis, Novak Djokovic non aveva nemmeno debuttato nel circuito ATP. Era il 6 febbraio del 2004. In quello stesso incontro, vinse il singolare decisivo contro Radek Stepanek, prima di una serie di 29 vittorie di fila.
Contro Shapovalov, che aveva vinto nove degli ultimi undici singolari in Coppa Davis, Nadal parte con l’obiettivo chiaro di non dare certezze, di togliere sicurezze all’avversario. Il canadese è costretto alla prudenza, mentre tutt’intorno sugli spalti l’attesa si stempera in continui incitamenti e in qualche ola improvvisata. Sergio Ramos, difensore del Real Madrid e della nazionale, e il re Felipe VI assistono alla partita. E a quanto sembra, si divertono anche.
Perso il primo set, Shapovalov si prende più rischi e qualche libertà in più nella gestione dello scambio. Ma non incrina la fiducia di Nadal né degli spagnoli che tra i due match hanno riempito ogni corridoio possibile fuori dal Centrale. Sul tappeto d’erba artificiale steso nella Caja Magica, il giallo e il rosso dominavano la scena. Un trionfo di sciarpe e bandiere, cappellini e parrucche accompagnava tifosi di ogni età e provenienza, addensati ai chioschi per un hamburger, un sandwich, una birra. Ottimisti e fiduciosi nel Nadal visto alla Caja Magica, nel condottiero per cui vincere con la squadra dà più soddisfazione. Il condottiero che nel momento della verità non tradisce.