Donald Trump fa la faccia feroce e minaccia dazi su formaggi e champagne francesi come rappresaglia nei confronti di Emmanuel Macron, il quale si è messo in testa, da unico leader europeo ora che Angela Merkel è in uscita, di far pagare le tasse alle piattaforme tecnologiche americane che producono ricavi favolosi ma pagano zero imposte in Francia e altrove. Perfino il premier inglese Boris Johnson, alleato gradasso di Trump in quel Titanic che è la Brexit, vuole far pagare le tasse ai big della Silicon Valley e per questo si tiene alla larga dal presidente americano, addirittura chiedendogli in occasione del vertice Nato a Londra di non sostenerlo pubblicamente in vista delle elezioni del 12 dicembre. Ieri Trump è stato pure zittito da Macron, durante una conferenza stampa congiunta, con un perfetto «siamo seri, per favore», di quelli che si dovrebbero pronunciare con fermezza ed eleganza ogni volta che qualcuno dice un’enormità.
La questione è semplice: al netto dei danni procurati alla società e alla democrazia, le aziende della Silicon Valley si mangiano numerose industry europee perché sono più brave nel fare business e nell’offrire servizi ai clienti, e per questo vanno lodate, ma godono anche di un vantaggio competitivo e contribuiscono a creare diseguaglianze sociali perché in nome di un giro di affari difficilmente circoscrivibile dentro un confine nazionale al momento di pagare le tasse se ne vanno all’inglese, in una versione erariale della Brexit. Torna in mente la frase di Macron: «Siamo seri, per favore».
Il commissario Paolo Gentiloni si dovrà occupare del tema, in particolare di trovare una soluzione condivisa tra Europa, G20, Ocse e Stati nazionali. La commissione economica del Parlamento europeo, presieduta da Irene Tinagli, su sua proposta ieri ha approvato una risoluzione che prescrive alle multinazionali del digitale di pagare le imposte nei Paesi dove creano un profitto. Trump e Silicon Valley sostengono che non si possa fare e che sia un’ingiustizia, quando invece è evidente anche a un grillino che è giustissimo e anche molto semplice da realizzare secondo il principio che se compro in Italia un libro o televisore o un divano sulla piattaforma di Amazon, o se mi abbono a Netflix o faccio pubblicità su Facebook, su quei ricavi Amazon, Netflix e Facebook dovranno pagare le tasse in Italia esattamente come le pagherebbe la Libreria Feltrinelli sotto casa, il department store sulla tangenziale, il negozio di arredamento in centro, la piattaforma Sky o la concessionaria pubblicitaria di un qualsiasi altro editore. Stiamo parlando di ricavi, soltanto in Italia, di quasi due miliardi e mezzo di euro l’anno, a fronte del versamento al fisco di soli 64 milioni. Con la web tax introdotta nella legge di bilancio, dal prossimo anno quei 64 milioni dovrebbero diventare 700. Forse è una previsione troppo ottimistica, vedremo, ma perlomeno questo governo una cosa buona l’ha fatta.
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