Le intese della manovra, approvata “salvo intese” dal consiglio dei ministri, alla fine nel governo non sono arrivate. Dopo le 15 ore di vertice del fine settimana, la plenaria della Commissione Bilancio del Senato ieri è slittata di altre quattro ore. E l’accordo raggiunto tra i giallorossi sulla legge di bilancio ha partorito tutto fuorché un accordo. A tarda sera è arrivato il pacchetto di emendamenti dell’esecutivo. Ma l’unica intesa, a quanto pare, è su un calendario di rinvii, proroghe e posticipi nella speranza che da una parte o dall’altra qualcuno prima o poi deponga le armi. Sulla questione più spinosa, cioè le tasse e microtasse, materia ad alta temperatura elettorale con il test delle regionali emiliane e calabresi alle porte, è tutto rimandato. Posticipate la plastic tax e la sugar tax (la prima a luglio, la seconda a ottobre), rimodulate le tasse sulle auto aziendali e l’aumento dell’Ires, rinviate le sanzioni per i commercianti senza Pos e la stretta sull’Imu. Meglio evitare di litigare ora, prendersi del tempo e tirare in avanti, almeno fino a dopo l’appuntamento elettorale del 26 gennaio. Vertice di maggioranza dopo vertice di maggioranza, la quadra non si trova. Sciolto un nodo, se ne crea un altro. Ed è tutto un gioco di sottile equilibrismo. D’altronde era stata la stessa maggioranza a ingolfare con oltre 5mila emendamenti la quinta commissione del Senato, con il Pd – che è partito di governo e la manovra quindi l’ha scritta – che ha presentato un numero di proposte di modifica maggiore della stessa Lega – che invece è all’opposizione.
Ieri il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, ormai più simpatizzante per il Pd che per il M5s, ha ammesso che così non va, annunciando che «un minuto dopo l’approvazione della legge di bilancio» dovrà aprirsi la verifica di governo «necessaria» per indicare «un cronoprogramma fino al 2023». Il Paese «chiede chiarezza, non possiamo proseguire con dichiarazioni o differenti sensibilità, sfumature varie e diversità di accento», ha detto Conte, allineandosi alla proposta arrivata da tempo dal gran consigliere del Pd Goffredo Bettini. Il messaggio è soprattutto per Di Maio, che subito ha gettato acqua sul fuoco dando una parvenza di unità. «In questa cornice, di condivisione e convergenza di vedute, il governo deve andare avanti su temi fondamentali per gli italiani come la casa, la sanità, il lavoro. Penso sia dunque doveroso stilare una lista di priorità andando anche a individuare le tempistiche per l’approvazione di importanti provvedimenti»: è il messaggio recapitato da Bruxelles in un linguaggio conciliante che non si sentiva da tempo.
Ma tra le intese mancanti, a risentirne è lo stesso iter parlamentare del bilancio dello Stato, che continua ad accumulare ritardi. E ormai si dà sempre più per certo che il provvedimento verrà modificato solo al Senato, con la Camera che farà solo da spettatrice della discussione per arrivare alla approvazione entro il 31 dicembre, onde evitare di cadere nell’esercizio provvisorio. Le opposizioni sono sul piede di guerra. Ma le preoccupazioni sono arrivate anche dai presidenti di Camera e Senato. La legge di bilancio non era mai arrivata così tardi in discussione. In Senato l’inizio dei lavori è previsto per il 12 dicembre, il primo voto in aula è fissato per venerdì 13 dicembre. E il Milleproroghe entrerà con molta probabilità come emendamento della manovra: prorogate, tra le altre cose, le norme sulle intercettazioni, sulla stabilizzazione dei precari della pubblica amministrazione fino allo stato di emergenza legato al ponte Morandi. E senza accordo di maggioranza, slitanno pure al 31 gennaio del 2020 le scadenze per il rinnovo degli attuali vertici del Garante della privacy e dell’Agcom, ormai senza guida da giugno.
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