Immagine di repertorio (Fotogramma)
Pubblicato il: 23/01/2019 20:46
di Veronica Marino
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“Le accuse nei miei confronti sono state archiviate 25 anni fa. Finite nel nulla. Solo una campagna mediatica contro di me non avvalorata poi da quanto stabilito dal giudice”. Purtroppo, però, ”io do fastidio da sempre ai coristi della nomenklatura. Accetto le critiche sulle opinioni che esprimo, ma non accetto assolutamente gli attacchi personali su una vicenda del passato ancora strumentalizzata”. A parlare all’Adnkronos è la giornalista Maria Giovanna Maglie, cui la direttrice di Rai1, Teresa De Santis, ha pensato di proporre la conduzione della striscia che andrebbe dopo il Tg1. Un’idea che ha suscitato nuove polemiche rispetto alle quali la Maglie, che risponde alle accuse, chiede in premessa a chi la attacca: “Perché scrivere che Enzo Biagi si rivolterebbe nella tomba se fossi io a condurre quella striscia? Cosa fa credere che io non realizzerò un prodotto obiettivo, se decidessi di accettare? Cosa fa credere che io non metterò in fila fatti, numeri, testimonianze e che, quindi, non darò un contributo positivo ed equilibrato? Avere delle opinioni forti – scandisce – non vuol dire essere disonesti”.
Come potrebbe affrontare Maria Giovanna Maglie la conduzione della nuova striscia dopo il Tg1 a fronte delle critiche di questi giorni? “Ancora non ho accettato ma se lo facessi, ciò che mi interessa è, come sempre, tentare di capire qualcosa di più e condividerlo con chi mi segue. Siamo in epoca di comunicazione social, la gente non si fa più prendere in giro”, risponde la giornalista che, comunque, dal 2005 ha ripreso a collaborare con la Rai abbastanza regolarmente come opinionista politica, da ‘Confronti’ a ‘L’Arena’, passando per ‘La vita in diretta’ fino a ‘Sbandati’.
“Il nostro sistema – osserva – soffre di palesi contraddizioni ed evidenziarle non significa necessariamente attaccare chi ricopre la più alta carica. La nostra è una Repubblica parlamentare ma da molti anni (non da Mattarella ma ben prima) è invece una Repubblica in cui il ruolo del Capo dello Stato non è più solo un ruolo di rappresentanza, un ruolo di garante della Costituzione, ma molto più un ruolo di intervento. A questo punto mi chiedo – argomenta – se non andrebbe cambiato il nostro sistema. Mi sono sempre occupata e premurata di scrivere le cose così come mi sembrava che fossero – tiene a precisare – senza tacerle per un pregiudizio o per un ordine editoriale”.
Per esempio? “Tre anni fa – ricorda – mi sembrava che Trump potesse vincere prima le primarie e poi le elezioni americane, l’ho scritto su Dagospia che ha accettato di darmi tutta la libertà, mentre tutti gli altri scrivevano il contrario. Beh, a quanto pare ho avuto ragione. Mi sembrava poi che in Italia le alleanze politiche e tradizionali fossero in contraddizione con il sentire dei cittadini italiani e che le elezioni del 4 marzo avrebbero riservato delle sorprese in questo senso, come continueranno a riservarne, e l’ho scritto. Credo di aver sempre dato fastidio perché ho l’abitudine di scrivere quello che penso. E tanti anni fa, per esempio, credevo che il progetto riformista di Bettino Craxi, fosse il migliore possibile per il nostro Paese economicamente e socialmente. E continuo a pensarlo anche oggi. Credo poi che un Paese debba avere dei confini e lo dico. Credo che la politica americana di Obama e della Clinton insieme all’avidità dei francesi abbiano provocato gli sbarchi massicci dall’Africa e lo scrivo. Se dà fastidio alla gente chi si espone, allora io do fastidio. E, leggendo i giornali di oggi, credo anche che ci sia un’acrimonia e un astio eccessivi rispetto alla mia persona e al ruolo che io posso svolgere”.
“Alla fine del 1993 cominciò una spaventosa campagna stampa contro di me in cui mi si accusava di aver estorto soldi e aver falsato le note spese gonfiandole, in riferimento al periodo che va dal 1991 al 1993, in sostanza l’intero periodo in cui ero corrispondente negli Stati Uniti. Quando scoppiò il caso ed io chiesi di cosa ero accusata, la Rai mi rispose che si trattava di cose scritte sulla stampa che, però, impedivano che io continuassi a lavorare normalmente. Una triangolazione nella quale mi sono trovata nel clima incandescente della fine della Prima Repubblica. A un certo punto io mi sono dimessa, perché la campagna stampa era diventata insopportabile e perché mi sembrò l’unico modo per potermi difendere nelle sedi adeguate. Finito tutto questo, cominciò la parte di chiarimento giudiziario”. “Per l’obbligatorietà dell’azione penale – spiega ancora Maria Giovanna Maglie – era stata aperta un’istruttoria ma io non sapevo neppure se fosse stata aperta dalla Rai. Fatto sta che io fui convocata, anche su mia richiesta, da un pubblico ministero il quale appurò il fatto che non c’era niente di falso nelle note spese che avevo consegnato. Contemporaneamente, voglio sottolinearlo, la Rai non si presentò mai dal pubblico ministero. E quindi nel giro di pochi mesi, tra richieste di archiviazioni e accettazione di questa archiviazione per mancanza di indizi, tutto è finito così. Fu solo una gigantesca campagna stampa rispetto alla quale non venne fuori nulla. I giornali a quel punto – prosegue la giornalista – continuarono a far circolare che non c’era nessun imbroglio ma che le spese erano state enormi”. “Certo che le spese del Tg2 in quel periodo erano superiori a quelle degli altri telegiornali – tuona – ma questo dipendeva dal fatto che io producevo dieci volte di più degli altri non solo perché, oltre a fare il collegamento all’orario principale, facevo anche quello delle 13 e della notte, ma perché per un anno intero ho fatto tutte le settimane alle undici della sera un programma che si chiamava ‘Pegaso America’ che durava più di un’ora e che era interamente prodotto a New York da me. E quindi quelle famose spese definite ‘gonfiate’, erano semplicemente delle spese dovute al fatto che, invece di produrre nell’arco di una settimana 5 minuti, io ne producevo 75. Queste spese – osserva la Maglie – essendo state presentate, documentate e rifinanziate ogni mese da Roma dal maggio del 1991 all’estate del 1993, sono state accettate per tutto quel lungo periodo. Solo all’improvviso hanno deciso che quelle spese non erano più congrue. E’ stata una campagna politica – evidenzia – ed io ero identificata con Craxi, per questo bisognava ammazzarmi”. Va riconosciuto, però, che qualcuno si è scusato. Pierluigi Celli nel 2000, quando era direttore generale della Rai, disse che lui disconosceva l’operazione nei confronti della Maglie nel libro ‘Memorie di un manager’. E, sempre Celli, intervistato di recente da Antonello Piroso, si è detto rammaricato per la vicenda.
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