Bisognava vedere tutti in azione almeno una volta per farsi una una prima idea complessiva di questa Atp Cup, l’inedita gara a squadre che l’Associazione dei giocatori professionisti da quest’anno mette in diretta competizione con la storica Coppa Davis. Bisognava che entrassero in scena anche i primi della classe, Rafael Nadal e Novak Djokovic, bisognava capire quale fosse lo spirito, quale l’impatto delle scelte tecniche, organizzative e di comunicazione.
E così, di primo acchito vien da dire che la cara vecchia Davis ha un’avversaria davvero ostica. E che forse l’ipotizzata fusione auspicata da Djokovic e Nadal (che tra l’altro la recente, rinnovata Davis l’ha vinta) è una soluzione che gli uomini dell’Insalatiera devono considerare con attenzione.
La prima considerazione che premia l’Atp Cup è quella della collocazione in calendario. I tennisti sono ormai abituati a programmare il loro esordio stagionale nell’estate australiana. Farlo in tornei individuale di media caratura come Brisbane o Sydney o in una gara a squadre come l’Atp Cup nulla cambia in termini logistici ma l’atmosfera dei team, senza vincoli di selezione particolari (i giocatori vengono ammessi in puro ordine di classifica Atp e sono naturalmente affiancati dai loro coach privati), di sicuro offre spazi di relax e divertimento maggiori per chi sta per iniziare una stagione lunga e impegnativa.
Gli organizzatori dell’Atp Cup hanno intelligentemente enfatizzato questo aspetto di team allestendo sul campo quelle che hanno chiamato “Team Zones”, una versione allargata e melio collocata delle classiche panchine di Davis.
Le hanno collocate negli angoli del campo (invece che di fianco al seggiolone dell’arbitro) le hanno dotate della possibilità di avere i dati statitici del match in diretta attraverso dei tablet collegati ai gestori degli analytics) e hanno consentito un continuo scambio di informazioni e di incitamenti tra il giocaotre in azione sul campo e il suo gruppo nell’angolo.
Molto bella anche la “grafica” degli allestimenti (con un logo della manifestazione, declinato con tutte le bandiere nazionali, molto riuscito), più brillante di quella della Davis sotto il profilo cromatico.
L’ispirazione viene chiaramente dalla gestione delle panchine “inventata” da Roger Federer e dalla sua società di management per la Laver Cup. Nel confronto tra Europa e Resto del Mondo (alla sua seconda dizione nel 2019) abbiamo imparato a vedere i gruppi impegnati a tifare a bordo campo seduti su scenografici divani in pelle colorata e ci siamo addirittura goduti il siparietto di Federer e Nadal che davano consigli a Fognini al cambio di campo.
A Brisbane, Sydney e Perth abbiamo visto lo stesso tipo di filo diretto tra il campo e il bordo campo, favorito ulteriormente dalla posizione delle Team Zone. In tanti frangenti il tennista in campo può praticamente ricevere indicazioni dai suoi ad ogni “quindici”. La cosa, stando alle prime dichiarazioni post partita, è piaciuta molto.
La distribuzione degli incontri in tre città diverse, in clima estivo, è sicuramente meno claustrofobica e più simile a quella dei Mondiali di calcio (tanto spesso citati a modello da Gerard Piquè per la nuova Coppa Davis) della soluzione offerta dalla Caja Magica di Madrid.In più, grazie al fatto che le nazioni sono ammesse in funzione della classifica del loro giocatore n.1, abbiamo assistito a sfide dal sapore inedito.
Abbiamo visto in campo per esempio Stefanos Tsitsipas che non potendo contare su un compagno di squadra di livello è per il momento tagliato fuori dalla possibilità di giocare la fase finale di Davis. Il suo confronto con Denis Shapovalov è stato tra i più interessanti della prima giornata. Il fatto che il suo compagno, Michail Pervolarakis, n.487 Atp, non sia molto competitivo a questi livelli non gli preclude la possibiltà di provarci. Magari trascinandolo in doppio.
Ieri contro il Canada gli è andata mala. Ha perso anche il suo singolare e la Grecia ha beccato un 3-0 bello secco. Però l’esempio di Casper Ruud, che ha abbattuto il gigante Isner e poi guidato Viktor Durasovic (n.332 del mondo) alla vittoria sul doppio americano e all’impresa di battere gli Usa può fare scuola. Come quello di Grigor Dimitrov cui è riuscito lo stesso gioco di prestigio con il connazionale Lazarov, n.517: hanno battuto la Gran Bretagna contro ogni pronostico.
Così la discesa in campo praticamente contemporanea di tre dei primi 4 giocatori del mondo (Nadal, Djokovic e Thiem) e lo spirito che hanno mostrato non ha fatto che rinforzare l’idea che questa Atp Cup ha molto da dire in termini di appeal e divertimento, sia dal punto di vista degli spettatori che da quello dei giocatori.
Djokovic affrontava a Brisbane un rientrante Kevin Anderson, finalista e Wimbledon e semifinalista alle Atp Finals nel 2018 ma fermo da sei mesi per un infortunio al ginocchio. E’ precipito così al n.91 ma era n.6 giusto dodici mesi fa. E quella che poteva sembrare inizialmente una passeggiata per Djokovic, avanti 4-1 nel primo set, si è poi trasformata in una lotta punto a punto.
Con un primo set durato un’ora e un quarto e chiuso con un tie-break tiratissimo e Nole impegnato allo spasimo, lo sguardo fiammeggiante, la tensione a fior di pelle. Per lui si trattava di chiudere un incontro spinto in discesa dalla vittoria di Dusan Lajovic sul n.2 sudafricano Lloyd Harris. Ha dovuto dar fondo alle sue qualità anche nella seconda partita, chiusa con un altro tie-break, ancora più titrato. Ma ce l’ha fatta e ha festeggiato con uno balzo di gioia scatenata.
Stesso compito toccava a Rafael Nadal, opposto al n.1 georgiano Basilashvili sul campo di Perth. Roberto Bautista Agut aveva infatti rifilato un impietoso 6-0 6-0 ad Alexandre Metreveli, incolpevole n.679 del mondo. Molto più facile il suo compito, assolto con un 6-3 7-5 in un’ora e 49 minuti. Il n.1 del mondo è parso pronto e spietato come prima della pausa natalizia. Si è rilassato per una paio di game quando era in vantaggio 5-3 nel secondo set ma poi ha deciso di stringere. E velocemente si è messo in condizione di stringere la mano dell’avversario.
Tutta un’altra storia era invece quella riguardante Dominic Thiem, impegnato a raddrizzare la situazione dopo che il connazionale Dennis Novak aveva lottato tre set ma alla fine ceduto con Marin Cilic, decisamente favorito dall’essere il n.39 del mondo opposto al n.108.
La sfida tra Thiem e Borna Coric, ora n.28 del mondo, ma un anno fa a ridosso della top 10 è stato un altro dei capitoli di alto livello di questa prima Atp Cup. L’ha spuntata il croato, (7-6(4) 2-6 6-3, in 2 ore e 42 minuti di lotta.
Si candida così nuovamente a un ruolo di primo pieno. E lancia la Croazia tra le aspirati alla conquista del trofeo. Non sono tante le squadre ad avere un n.2 come Marin Cilic. E un doppista come Ivan Dodig.