Sono due le parole per descrivere il vertice di oggi tra Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti: legge elettorale.
Due parole che però svelano molto delle strategie politiche e mediatiche dei due capi partito e azionisti di maggioranza del governo.
L’obiettivo comune è quello del proporzionale ma con uno sbarramento molto alto tra il 6 e l’8 per cento.
Con una diretta e immediata conseguenza: anestetizzare il pieno di voti della Lega di Salvini, rendere molto meno pesanti quei voti che i sondaggi stimano intorno al 30 per cento. Anche in caso di pieno di voti tra Lega e FdI la traduzione in seggi, con una legge fortemente proporzionale, non permetterebbe il varo di un governo Salvini-Meloni.
Il vertice sancisce anche la fine del canale privilegiato tra Conte e lo stesso Zingaretti. Di Maio infatti con questa mossa esce da un lungo isolamento politico e per qualche ora si allontana dalle beghe del Movimento alle prese con la girandola delle espulsioni,
Un incontro a sorpresa – alcuni con perfidia dicono «clandestino» – di cui nulla è trapelato in anticipo, un colpo alla “diplomazia” del Presidente Conte che finisce escluso dalla trattativa, un segnale chiaro alla sua volontà di leadership.
In realtà l’incontro era stato stabilito da tempo, se non nella tempistica quanto meno per ciò che riguardava il tema principale. È la legge sul taglio dei parlamentari, ancorché subjudice di un possibile referendum, ad aver “costretto” Zingaretti e Di Maio ad affrontare il nodo di un nuovo sistema elettorale.
Il segnale arriva anche come risposta alle frizioni del centro destra tra Salvini e Meloni e al disfacimento di Forza Italia che potrebbe vedere nel partito di Renzi una sorta di paracadute per molti dei suoi esponenti.
Conte da una parte e Salvini dall’altra sono i bersagli di questa fase politica. Che poi questo improvviso scarto possa significare una discesa veloce verso le elezioni o verso un ridimensionamento del ruolo di Conte è ancora troppo presto per dirlo.
Di certo la linea rossa attivata tra i due capi partito ha un significato anche all’interno dei rispettivi gruppi. Zingaretti sente sul collo non solo l’attivismo di governo di Dario Franceschini, capo delegazione democratico e ambasciatore di Conte nel Pd, ma di una parte sostanziosa del partito che mira a spodestarlo dopo le elezioni regionali di primavera. Di Maio dalla sua è alle prese con una ristrutturazione interna del Movimento e sente il bisogno di mostrare un profilo non più logorato ma da “leader” che tratta con i suoi pari grado. Vedremo se saranno loro i nuovi vincenti o se questo incontro sancirà la loro caduta.
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