La Giunta per le autorizzazioni proporrà che vada a processo. Perderà in Emilia-Romagna. La Giorgia Meloni gli respira sul collo. Ecco, delle tre congiunzioni astrali che formano la tempesta perfetta di Matteo Salvini, la terza è quella più insidiosa: l’incubo di una Meloni che insospettatamente diventa più affidabile, più presentabile, più ragionevole dell’inviperito leader leghista e che gli ruba consensi e copertine sui giornali, ecco, questa è la goccia che fa traboccare il vaso.
In fondo il voto della Giunta (e poi dell’Aula) per l’affare Gregoretti è abbastanza scontato: nel momento in cui Di Maio e Conte sono diventati avversari è chiaro che si è formata una maggioranza forte pronta a condannare i misfatti estivi dell’ex ministro dell’Interno. Si dice che lui potrà fare la vittima. Anche se non lo si vede proprio nei panni di un Dreyfus 2.0, è certo che Salvini vellicherà i soliti basic instict anti-immigrati, ma basterà a oscurare l’immagine di un ex ministro alla sbarra? Subito dopo un’eventuale, a questo punto probabile sconfitta in Emilia brucerà. E perché mai Giorgia dovrebbe mancare di sottolineare una débâcle tutta salviniana – sua la candidata, sua la strategia “nazionale” della consultazione emiliana?
E poi, guardate che differenza sull’attacco di Trump e l’eliminazione di Soleimani, con l’improvvido sdraiarsi di Salvini sulle gesta del commander-in-chief a fronte di un’andreottiana prudenza della “capa” di Fratelli d’Italia. Come dire, il provincialismo da osteria contro un profilo quasi più di governo. Che poi la personale immagine della Meloni sia – come dire? – leggermente in contrasto con questo nuovo atteggiamento più “politico” è materia di riflessione: anche se non sarebbe certo la prima volta che da quelle parti si indossa il vestito buono magari forzando la propria indole.
Quello che pare di intravedere – sia detto con il beneficio d’inventario – è che Giorgia Meloni stia provando ad affinare il messaggio, ripulendolo da casapoundismi e movenze nostalgiche, provando a dare in pasto all’opinione pubblica una pietanza sufficientemente digeribile e senza le smargiassate gratuite del salvinismo. Un po’ come fece, mutatis mutandis, Marine Le Pen. Intanto, i sondaggi la premiano.
È un fatto che il rapporto Salvini-Meloni era di 35 a 5, oggi è 30 a 10: sempre un abisso, ma è il trend che conta. È non c’è dubbio che sia FdI a sottrarre voti alla Lega, non altri. E quando il capo leghista la butta in politica, c’è lei a metterlo dietro alla lavagna. Come quando Salvini propose un fantomatico comitato di salvezza nazionale con il patetico refrain del «mettiamoci intorno a un tavolo» e Giorgia lo spedì a quel paese con poche sillabe: «Incomprensibile». Chiuso il discorso. Salvini tutto questo lo sente, lo sa. E ne soffre. Passare da leader unico a mezzo leader è una gran seccatura, per uno come lui. Ora il rischio fondatissimo è che i pieni poteri non ce l’abbia nemmeno a destra.
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