di Emilia Patta
(ANSA)
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«Siamo in pieno psicodramma». Così Andrea Cangini, senatore di Forza Italia che assieme ad altri colleghi di vari gruppi aveva promosso la raccolta delle firme (serve un quinto dei componenti di una della due Camere) per richiedere il referendum confermativo sulla riforma che taglia il numero dei parlamentari, descrive la situazione di queste ore a Palazzo Madama. Già, perché come anticipato dal Sole 24 Ore alla vigilia del previsto deposito delle firme in Cassazione si era arrivati a quota 66. All’ultimo momento però ben 4 firme sono state ritirate, mentre altre nuove sono in arrivo per rimpiazzarle. Con la conseguenza che il deposito – previsto alle 11 del 9 gennaio – è slittato. Il tempo scade il 12 gennaio. «Prenderemo un altro appuntamento entro il termine previsto. In 4 hanno ritirato le firme ma altri si stanno aggiungendo per cui per correttezza abbiamo chiesto alla Cassazione uno slittamento».
Che cosa sta succedendo davvero? Con il deposito delle firme si avvierebbe il percorso che porta dritto al voto tra maggio e giugno, senza quorum come è previsto per i referendum confermativi sulle modifiche costituzionali. Il che significa che entro giugno il taglio del numero dei parlamentari, finora rimasto nel mondo del dibattito politico, diventerebbe reale a partire dalla prossima legislatura: 400 deputati invece di 630 e 200 senatori invece di 315. Il timore dei firmatari che hanno cambiato idea, e non solo, è che con il via al referendum potrebbe scattare il count down verso le urne anticipate: molti parlamentari non sarebbero rieletti e qualche leader di partito che appoggia il governo Conte 2 potrebbe essere tentato di staccare la spina subito in modo da andare a votare rieleggendo l’attuale numero di parlamentari e rimandando così l’entrata in vigore della riforma alla legislatura successiva.
Ma c’è di più: le firme che si stanno aggiungendo sono non a caso quelle dei leghisti. Perché Roberto Calderoli, ideatore del quesito referendario sulla legge elettorale che mira a introdurre un sistema maggioritario secco basato interamente si collegi uninominali come i Gran Bretagna, è convinto che se si andasse al voto per confermare la riforma costituzionale ci sarebbero più probabilità che la Corte costituzionale il 15 gennaio accolga il suo quesito. Bloccando il deposito delle firme in Cassazione e quindi impedendo il referendum confermativo sul taglio dei parlamentari si vogliono così raggiungere due obiettivi: togliere ai vari leader la tentazione di staccare la spina subito e rendere più difficile lo svolgimento del refrendum leghista sulla legge elettorale che, se avesse successo, consegnerebbe il Parlamento e il Paese a Matte Salvini con un numero schiacchiante di seggi.
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