Per l’Ue la manovra per ora è ok, ma l’Italia si metta in riga
3′ di lettura
Da un lato la presa d’atto che i conti italiani per il 2020 non «fanno retromarcia» rispetto agli impegni assunti lo scorso anno, e ribaditi nelle raccomandazioni inviate dalla Commissione europea. Dall’altro, la constatazione che il rischio maggiore che incombe sulla nostra economia, l’elevato debito pubblico, continui a sussistere. L’audizione in Parlamento del vice presidente esecutivo della Commissione Ue Valdis Dombrovskis conferma che il rischio di «deviazioni significativa» dalle regole europee più volte evocato da Bruxelles persiste e quindi occorre farvi fronte. Il tema non è la sostenibilità del debito, quanto la velocità del percorso di riduzione, ritenuto largamente insufficiente. Il che espone potenzialmente il nostro paese ad una procedura d’infrazione.
Parte il “semestre europeo”
Come ha spiegato Dombrovskis, con le procedure previste dal cosiddetto semestre europeo sta per partire la fase di interlocuzione preliminare tra il nostro Paese e Bruxelles che condurrà prima alla predisposizione da parte della Commissione Ue delle stime aggiornate sull’economia italiana, a partire dagli aggregati macroeconomici più importanti (Pil, debito, deficit). In febbraio la Commissione pubblicherà le relazioni relative ai singoli Paesi, in cui valuterà i progressi dei vari Stati verso le raccomandazioni specifiche e in generale – come ha ricordato Dombrovkis – sarà fondamentale «un’agenda di riforme chiara e sostenuta».
Il che significa «riforme strutturali, miglioramento della spesa pubblica attraverso investimenti più alti». In aprile il governo presenterà il nuovo Documento di economia e finanza, in sostanza la base di partenza su cui impostare la prossima manovra di Bilancio. Sulla base dei dati aggiornati e degli intendimenti programmatici esposti nel Def e nel Programma nazionale di Riforma, la Commissione europea esprimerà tra maggio e giugno il suo parere con relative raccomandazioni.
È cambiato il clima ma il debito va ridotto
Con l’insediamento del nuovo governo (questo è un dato di fatto) è radicalmente mutato il clima tra Roma e Bruxelles, rispetto alla dura contrapposizione con il precedente governo che nell’autunno del 2018 ha indotto la Commissione europea a proporre l’apertura di una procedura d’infrazione per violazione della regola del debito. Poi, in seguito alla decisione del governo Conte1 di riportare l’asticella del deficit al 2% rispetto all’iniziale 2,4%, con contestuale revisione dell’importo complessivo della manovra per oltre 10 miliardi, la procedura è stata riposta nel cassetto. Il copione si è riproposto nel giugno del 2019, e in questo caso il braccio di ferro è stato evitato grazie alla correzione per circa 8 miliardi disposta con l’assestamento di Bilancio dall’ex ministro dell’Economia, Giovanni Tria. Poi il clima è radicalmente mutato e si è tornati ad una normale dialettica. Ciò non toglie che il Governo dovrà perseguire una linea di graduale ma costante aggiustamento strutturale dei conti pubblici, a partire dal deficit strutturale e dal debito.
Conta il percorso di riduzione
È proprio il debito, ancora una volta, il sorvegliato speciale se si considera che il livello raggiunto pari a circa il 135% del Pil è ben lontano dal percorso di rientro più volte raccomandato dalla Commissione europea. Dombrovskis, al pari del commissario agli Affari economici Paolo Gentiloni, torna a porre l’accento sulla necessità di varare riforme strutturali in grado di sostenere la domanda interna e la crescita nel suo complesso. Quota 100 può comportare rischi di sostenibilità per il nostro debito pubblico, per il peso che la spesa previdenziale continua a esercitare sul totale delle uscite pubbliche.