Il 12 febbraio si riunirà il Consiglio di giurisdizione della Camera e la settima successiva (il 20) toccherà al Senato. Il problema del coordinamento tra i due rami del Parlamento
di Riccardo Ferrazza
Festa M5S davanti a Palazzo Madama per taglio vitalizi Senato
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Febbraio dovrebbe essere il mese decisivo per decidere la sorte dei vitalizi di circa 2.000 ex parlamentari che hanno fatti ricorso contro la decisione risalente al 2018 delle loro Camere di appartenza di ricalcolare con metodo contributivo (e quindi di fatto di tagliare) i loro trattamenti pensionistici.
Della questione, uno delle misure simbolo del Movimento 5 Stelle contro i “privilegi della casta” (in realtà i vitalizi furono aboliti nel 2012), si occupano due organismi interni di Camera e Senato: rispettivamente il Consiglio di giurisdizione e la Commissione contenziosa. Entrambi, in base al principio dell’autodichia (l’autogiurisdizione del Parlamento), sono chiamati a esprimersi come organo giurisdizionale di primo grado.
Dopo le udienze in cui sono state ascoltate le ragioni dei 1.270 ricorrenti a breve dovrebbero arrivare i verdetti. A Montecitorio la camera di consiglio si riunirà il 12 febbraio. «Potremmo decidere in una sola seduta» spiega il presidente del Consiglio di giurisdizione Alberto Losacco (Pd). Gli altri membri sono Stefania Ascari (M5S) e Silvia Covolo (Lega).
Al Senato, invece, dove l’organismo si è ricostitutio dopo le dimissioni a novembre del membro del Movimento 5 Stelle, l’appuntamento è per il 20 febbraio. «In camera di consiglio – racconta il senatore di Forza Italia e magistrato Giacomo Caliendo, presidente – si entra con una propria idea ma la decisione arriva dopo essersi confrontati con le norme e i precedenti. Il nostro non è un organismo politico dove si possa fare una mediazione tra posizione diverse. Significherebbe tradire la nostra funzione perché siamo chiamati a esprimerci su una questione giuridica dove conta la legge e i precedenti della Corte costituzionale». Gli altri membri senatori, oltre a Caliendo, sono Simone Pillon (Lega) e Alessandra Riccardi (M5S).
Non esiste un coordinamento tra i due organismi, dal momento che ciascuno gode di completa autonomia. Tuttavia l’uno non può non tenere conto delle decisioni dell’altro. Un’asimmetria c’era già stata quando nel 2018, ad avvio di legislatura, il Parlamento era stato chiamato a dare attuazione alla misura fortemente voluta dal Movimento 5 Stelle, la principale forza politica in termini di eletti. L’ufficio di presidenza della Camera presieduta dall’esponente a Cinque Stelle Roberto Fico aveva approvato il 12 luglio la delibera che faceva scattare 1° gennaio 2019 il ricalcolo con il metodo contributivo degli assegni per i deputati cessati da loro incarico. Al Senato, invece, la presidente Elisabetta Casellati aveva preso tempo per ulteriore verifiche sulla legittimità dell’intervento e la “sforbiciata” era scattata solo 16 ottobre. L’intervento ha prodotto un risparmio per ora solo teorico di 45,6 milioni l’anno per la Camera e 22,2 milioni per il Senato.
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