I film di Gabriele Muccino, al di là di correnti di pensiero e pregiudizi, hanno un merito indiscusso: non lasciano indifferenti. E “Gli anni più belli”, dal 13 febbraio in 500 cinema, non fa eccezione anche perché è un po’ la summa della sua visione del mondo. Così capita che alla fine dell’anteprima ci sia un collega che ti abbraccia con gli occhi gonfi di lacrime e ti confessi di averlo trovato meraviglioso per la capacità di smuovergli dentro dei nodi esistenziali irrisolti e un altro che quasi come un mantra continui a dirne tutto il male possibile. Stavolta perciò ho deciso di giocare a carte scoperte e di confessare subito come la penso e cioè che questo film vada visto perché indubbiamente Muccino sa raccontare le storie e soprattutto i personaggi che ci si muovono dentro. E lo fa in un modo così sincero e disarmato che è impossibile non scorgere pezzetti di sé sparsi in quei personaggi.
Un cast d’eccezione e il debutto di Emma Marrone
“C’eravamo tanto amati” di Scola come paradigma. “Ma noi siamo stati schiacciati da loro”
In questo film, poi, la magia si rinnova soprattutto se si appartiene alla generazione dei quaranta-cinquantenni, quella “dei figli di nessuno”. Che è poi la stessa di Muccino che ha voluto tratteggiare quattro amici, tre uomini e una donna, quando erano ancora ragazzi e accompagnarli con lo sguardo fino all’età adulta, nel corso di 40 anni in cui la Storia con la s maiuscola e quella delle singole esistenze si intersecano fino a determinare bivii e svolte, alla luce di speranze e di errori, di fallimenti e di rinascite. “Il collante di questo film è il valore che l’amicizia ha dato come impulso a queste esistenze che naufragando per gran parte della storia si ritrovano nelle cose più semplici. È un grande omaggio alla semplicità che secondo me fa rima con amicizia. È un film che innegabilmente si ispira a “C’eravamo tanto amati” di Ettore Scola ma mancano talmente tanti elementi di quella storia che in realtà rappresenta la generazione che è cresciuta all’ombra di tutto quello che quel film raccontava. Quando ho iniziato a scrivere questo film mi sono reso conto che molte cose non avevano più senso: l’ideologia politica, l’antagonismo tra ricchi e poveri, i ricchi cattivi e i poveri solidali sono categorie che non hanno senso per noi. Siamo cresciuti all’ombra del Dopoguerra, del boom economico, del Sessantotto e anche del Settantasette e degli Anni di Piombo. Siamo stati schiacciati da tutto ciò che era la storia degli altri e noi non abbiamo mai avuto una nostra storia. Siamo stati fondamentalmente apolitici anche se scimmiottavamo i nostri fratelli maggiori senza però averne le vere coordinate. E questa generazione rappresenta la mia esperienza, un periodo di transizione nel quale non siamo riusciti a produrre una nostra ideologia, né a metabolizzare quelle ereditate”.
L’amicizia come collante e la vita che ti sfida
La storia è quella di Giulio (Pierfrancesco Favino), Gemma (Micaela Ramazzotti) , Paolo (Kim Rossi Stuart) e Riccardo (Claudio Santamaria), grandi amici nell’attraversare l’adolescenza negli anni 80, quella fatta di una macchina acquistata per pochi soldi e rimessa a posto per scorrazzarci sopra e brindare “alle cose che fanno stare bene”, delle feste in casa e dei primi amori. La maturità inevitabilmente li cambia e li avvicina e allontana a ondate: c’è chi studia e fa carriera, scoprendosi corruttibile e accettando i compromessi, come Giulio, e c’è chi studia e in quel mondo letterario assapora la bellezza e il senso della vita, rimanendo fedele alle proprie idee e al primo amore, quello che davvero non si scorda mai, come succede a Paolo. C’è anche il più irrisolto di tutti, quello che prima vuole sfondare nel cinema e che poi scopre il precariato del mondo del giornalismo, quello che si improvvisa grillino e suo malgrado scopre che pure in politica ci vuole competenza, come accade a Riccardo.
Micaele Ramazzotti: “Amo le mie donne fragili e vessate”
E poi c’è Gemma, tanto affascinante nella gioia di vivere e nella bellezza, quanto sofferente e disperata nell’intimo. Davvero adorabile nelle sue contraddizioni, “che poi sono le stesse di tante donne”, come racconta Micaela Ramazzotti confessando “di scegliere sempre di interpretare non le eroine ma le donne fragili e irrisolte. Perché mi affascina l’imperfezione e perché queste donne mi permettono di fare pace con una parte di me”.
Intorno a loro, interpretati nella fase adolescenziale da quattro giovanissimi attori davvero somiglianti agli originali, si muove un mondo di mogli in crisi o infedeli e di figli giudicanti che, prima o poi, ti presentano il conto delle tue contraddizioni. Tra l’altro, da sottolineare il debutto cinematografico di Emma Marrone (scommettete che la rivedremo?) e il ritorno di Nicoletta Romanoff in un film di Muccino: “Gli sono stata dietro come un mastino pur di convincerrlo”)
Il tutto con lo sfondo delle partite dei Mondiali o delle monetine davanti all’Hotel Raphael. “ Perché la grande storia è quella che ci definisce”, sostiene Muccino. “ Anche se non vogliamo, siamo in buona parte disegnati da ciò che ci succede intorno: l’impatto del Muro di Berlino aprì un orizzonte, Mani Pulite fece quasi un reset della società civile e della politica, l’Undici Settembre ci ha reso per sempre fragili e attaccabili. E poi quello che sembrava dover essere il grande cambiamento della politica, il movimento che nel 2009 sosteneva che la classe politica aveva sbagliato tutto ed era da mandare a casa. Tutti questi avvenimenti sono slanci verso il domani, sono sfide a un futuro migliore. Nessuno dei miei quattro protagonisti si è rassegnato anche se arriverà il momento in cui riusciranno ad accettare la propria condizione e i cambiamenti che hanno subìto attraverso lo scorrere inevitabile del tempo. Ogni imprevisto è una scelta e ogni scelta un bivio”. Con la consapevolezza però che gli anni più belli non sono quelli dell’adolescenza, i dorati Ottanta o gli arrembanti Novanta, ma quelli verso un traguardo ancora da esplorare. I peggiori invece non c’è dubbio siano quelli dell’immobilità emotiva, di chi non si vuole mettere in discussione, di chi non accetta di sbagliare e soprattutto non sa imparare dai propri errori.