L’Ufficio parlamentare di bilancio ha spiegato che la revisione al ribasso è prevalentemente dovuta al deterioramento della fase congiunturale nello scorcio finale del 2019
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Il Pil quest’anno crescerebbe come nel 2019, dello 0,2%, al di sotto di quanto stimato in ottobre (0,5%) in occasione dell’esercizio di validazione delle previsioni del ministero dell’Economia. Lo comunica l’Ufficio parlamentare di bilancio, spiegando che la revisione al ribasso è prevalentemente dovuta al deterioramento della fase congiunturale nello scorcio finale del 2019, oltre che al peggioramento delle variabili esogene internazionali. Nel 2021 la dinamica del Pil si rafforzerebbe allo 0,7% (tra uno e tre decimi di punto in meno nell’ipotesi di attivazione delle clausole di salvaguardia).
Virus Cina:si prospettano nuovi rischi per emergenza sanitaria
L’Upb ha sottolineato che «restano elevate le preoccupazioni per le tensioni geo-politiche e per i fattori ambientali e si prospettano nuovi rischi per l’emergenza sanitaria in Cina». A livello internazionale «i fattori di rischio sono fortemente orientati al ribasso», ha continuato l’Upb e, «nonostante l’orientamento espansivo delle principali banche centrali, i mercati finanziari appaiono esposti al rischio di rapide correzioni, che si ripercuoterebbero velocemente sui rendimenti dei titoli del debito sovrano». Per quanto riguarda l’epidemia cinese, le ultime previsioni del Fmi non ne tengono conto, ma le valutazioni preliminari fatte finora vanno da -0,15 a 0,3 punti di Pil (Morgan Stanley) nel primo trimestre al doppio di queste stime (Oxford Economics).
La variabile shock mercati finanziari
«Le previsioni – si legge nella Nota sulla congiuntura di febbraio che aggiorna le previsioni a medio termine per l’Italia – sottendono inoltre il mantenimento di condizioni monetarie e finanziarie accomodanti delle banche centrali e la stabilizzazione sui premi al rischio dei titoli pubblici. Al contrario – ha aggiunto l’Upb -, eventuali shock sui mercati finanziari indurrebbero rapidi incrementi dei rendimenti dei titoli del debito sovrano che, se persistenti, inciderebbero sugli orientamenti di spesa di imprese e famiglie».
Per approfondire:
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