Carneade, chi era costui?”. Quanto si sarebbe scervellato il Don Abbondio di Manzoni per scoprire le radici di Gianluca Mager che, in una settimana, grazie alla finale del torneo di Rio passa dal numero 128 del mondo al 77? In Italia abbiamo altri illustri precedenti. Il primo nome che salta in mente è quello di Cristiano Caratti il piccolo, velocissimo allievo di Riccardo Piatti che, in un anno da luglio 1980 a luglio 1981, passò dal 198 al 26 ATP, dopo l’estate calda che gli valse il soprannome di “Caratti Kid”: col successo al Challenger di Winnetka, i quarti di New Haven battendo Brad Gilbert e Mansdorf, il terzo turno agli Us Open superando Rostagno e perdendo con Berger sempre in cinque appassionanti set, toccando i quarti agli Australian Open con cinque set leggendari, eliminando Layendecker e Krajicek e cedendo a Patrick McEnroe, e poi arrivando in finale a Milano, sorprendendo il numero 3 del mondo, Ivan Lendl, e perdendo la sua prima ed unica finale conto Aleksandr Volkov.
Non si fermò: collezionò lo scalpo di Tim Mayotte, il titolo al Challenger di Indian Wells a scapito di Arias, i quarti a Miami, superando Connors e Bruguera, per poi beffare anche grandi nomi come Leconte, Svensson, Pioline ed addirittura John McEnroe, sull’erba di Manchester.
Era sicuramente un carneade Marco Cecchinato prima del Roland Garros 2018 che, da numero 72 del mondo, è passato al 27 grazie al successo contro Novak Djokovic e alla prima semifinale italiana in un torneo dello Slam 40 anni dopo Corrado Barazzutti. Chi lo conosceva veramente all’erodrio a Parigi, anche se aveva vinto il torneo di Budapest da lucky loser ed aveva sorpreso Fognini a Monaco?
Rimanendo in Italia, la finale del torneo di Milano indoor persa contro Kafelnikov e i quarti di Roma lanciarono la favola del gigante Martin Verkerk, la cui finale al Roland Garros trattenne davanti alla tv più spettatori di Krajicek nella finale di Wimbledon 1996. Aveva superato il numero 4 del mondo Moya e il 7 Coria, perse netto col 3, Ferrero, fece scalpore ma era comunque arrivato al numero 46 del mondo. Sempre in Italia, José Luis Clerc nel 1978 si aggiudicò il torneo di Firenze da 242 del mondo. Il più clamoroso “underdog”, come chiamano gli statunitensi le grandi sorprese che diventano improvvisamente protagonisti ad alto livello, rimane Mark Edmondson che si aggiudicò gli Australian Open nel 1976 da appena numero 212 del mondo. Peraltro è tuttora l’ultimo giocatore di casa ad aggiudicarsi la prima prova stagionale dello Slam. All’epoca era ancore la “gamba zoppa” dello Slam, ma strada facendo il carneade australiano coi baffi a manubrio superò avversari molto superiori come Phil Dent,e soprattutto i mitici Rosewall e Newcombe. Del resto, nel 1977, un altro australiano, John Marks entrato in tabellone da 177 del mondo, arrivò fino alla finale, superando il leggendario Arthur Ashe, per poi arrendersi a Vilas.
Quando debuttò da professionista, nel 1998, ad appena 16 anni, e firmò subito un torneo, l’australiano Lleyton Hewitt era appena 550 del mondo. Ma vinse ad Adelaide dove la sua gente lo conosceva benissimo e non si meravigliò così tanto della rimonta contro l’altro australiano Jason Stoltenberg per 3-6 6-3 7-6.
Era sicuramente un carneade, ma era comunque targato 66 del mondo Guga Kuerten che sorprese tutti al Roland Garros nel 1997 battendo peraltro tre precedenti campioni della prova, Muster, Kafelnikov e Bruguera: primo brasiliano di sempre, appena al terzo torneo Slam, e una settimana dopo aver vinto un torneo Challenger.
Lleyton Hewitt Erano underdog i 17enni terribili, Mats Wilander campione al Roland Garros 1982, Boris Becker a Wimbledon 1985 e Michael Chang al Roland Garros 1989. Ma non erano così sconosciuti come Cecchinato e Mager, esplosi tardi, senza un vero pedigree.