Le ripercussioni dell’emergenza sono forti sulle aziende
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«Va nella direzione giusta l’intervento del governo che ha esteso a tutte le regioni del Nord Italia la possibilità di applicare lo smart working in via automatica». Lo ha detto il presidente Federmanager, Stefano Cuzzilla, commentando il decreto legge che ha introdotto misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da coronavirus. «Ora – ha detto – serve una convergenza di tutte le forze del Paese, manager compresi».
L’allargamento del raggio d’azione alle regioni più colpite
Il decreto approvato dal Consiglio dei ministri interviene sulla scia del precedente provvedimento del 23 febbraio che abilitava il lavoro da remoto limitatamente alle imprese comprese nella cosiddetta “zona rossa”, ora applicabile in via automatica, fino al 15 marzo 2020, anche in Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Veneto e Liguria. Federmanager auspica che siano approvate «misure di sostegno fiscale per aiutare le imprese ad affrontare la criticità del momento. Vanno privilegiati gli interventi a garanzia della continuità dell’impresa. I manager dell’industria e dei servizi sono in prima linea per non fermare le attività», ha sottolineato il presidente Federmanager.
Forti le ripercussioni sulle aziende
«Le ripercussioni dell’emergenza da coronavirus – ha dichiarato Cuzzilla – sono evidenti su più fronti: dalle numerose aziende che operano con la Cina, al fermo del settore del turismo, dalla crisi dell’agroalimentare fino al blocco della Milano Fashion Week e a risentirne sarà anche il funzionamento globalizzato del mercato del lavoro, sia interno sia esterno alla singola azienda».
Ancora troppo poco smart working in Italia
Il telelavoro riguarda il 4% dei lavoratori italiani mentre la media europea è del 9, con punte del 20% nei paesi del nord Europa e del 35% negli Usa. Se le modalità di “smart work” fossero applicate al doppio dei lavoratori attuali potremmo ottenere un recupero di circa 4 miliardi di euro all’anno. «La verità è che nel 70% dei casi il lavoro a distanza si applica alle attività sperimentali, non consolidate. Non è uno strumento diffuso, è ancora un’eccezione a cui si ricorre impropriamente», ha ricordato Cuzzilla. «Inoltre, sono soprattutto le aziende di grandi dimensioni o multinazionali a utilizzarlo, mentre il tessuto produttivo italiano è formato soprattutto di Pmi con dotazioni tecnologiche ancora non adeguate. Qui si gioca la sfida, che richiede maggiori investimenti sulle nuove tecnologie e politiche aziendali più lungimiranti».
Smart working strumento di politica contrattuale
«Sono i manager i primi a dover promuovere lo smart working. In Lombardia si trova ben il 44% dei dirigenti italiani. I nostri manager sono chiamati a uno sforzo di responsabilità e a prendere decisioni strategiche», ha detto il presidente Federmanager. «Lo smart working, che oggi poggia sul principio della volontarietà e dell’alternanza tra presenza dentro e fuori i locali aziendali, andrebbe legittimato come strumento di politica contrattuale, da inserire nei contratti».
Per approfondire
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