Fra le tante decisioni che il governo ha preso o sta per prendere ne manca una: rinviare il referendum del 29 marzo sul taglio del numero dei parlamentari. Il referendum meno sentito nella storia repubblicana, perché riguarda una riforma costituzionale assolutamente poco incisiva sulla vita degli italiani e anche delle istituzioni e approvata inopinatamente per la pressione propagandistica del Movimento Cinque Stelle, può ben aspettare tempi migliori.
Com’è noto, è un referendum confermativo (per cui non occorre il quorum del 50%) sul mitico taglio del numero dei parlamentari, una rivoluzione anti-casta per i proponenti, per altri una scelta demagogica e dannosa perché riduce la rappresentanza. Il popolo, già poco affascinato di suo, in questo frangente ha tutt’altri pensieri per la testa. Il Coronavirus, le conseguenze economiche, le abitudini quotidiane stravolte. Sai quanto gliene importa, ai cittadini di Lodi (e non solo) se i deputati scenderanno da 630 a 400. E pazienza per Di Maio e Casaleggio.
Ma è chiaro che il rinvio del referendum avrebbe (avrà) una motivazione ben più forte, evitare assembramenti di massa e contatti di tutti i tipi. È vero che il 29 marzo è lontano ma non ha senso mettere in moto una macchina se non si sa se si arriverà a destinazione. Se non si può andare in una chiesa per pregare non si vede perché si debba far la fila a un seggio per un referendum confermativo. E poi la campagna elettorale – ammesso che qualcuno abbia voglia di farla – dovrebbe essere già cominciata. Ma provate a fare un comizio, nella situazione attuale del Paese, e vediamo chi ci va.
I 300 milioni previsti per il referendum possono essere spesi in questa fase per cose molto più utili. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese non avranno difficoltà a comprendere che l’unica cosa da fare, d’intesa con le forze politiche e i proponenti, è un decreto che rinvii la consultazione.
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