La proroga senza scadenza del fermo delle scuole e, forse già domani, l’estensione del lockdown a ogni attività all’aperto e il suo prolungamento data da destinarsi ben oltre il 3 aprile, sono pessime notizie non solo per il loro contenuto ma anche per la mancanza di dati ufficiali che spieghino queste decisioni.
Sono passati undici giorni dal blocco della Lombardia, otto dalla serrata a livello nazionale e tutti vorremmo vedere in tv, oltre ai video dei sindaci con le mani nei capelli, un qualche responsabile dello stato d’eccezione che ci spieghi cosa sta succedendo nel Paese. Sappiamo che c’è un calo della curva dei contagi, dal +12,6 di martedì al +8,4 di giovedì (forse al 10,4, i dati non sono univoci), un fatto che sarebbe incoraggiante ma sparisce davanti all’escalation allarmistica di tutti i soggetti dell’emergenza, dall’Aifa agli assessori alla Salute, dai singoli medici e infermieri nei loro video da trincea ai ministri, dalle tv che mostrano i camion militari carichi di bare ai governatori che varano misure contro le passeggiate.
La scelta del catastrofismo – «non ne usciremo a breve», «nulla sarà come prima», «è peggio di una guerra», «manca tutto» – come principale chiave comunicativa è comprensibile e probabilmente anche fondata, ma in questi giorni rischia di suscitare un sentimento opposto all’obbedienza agli ordini: senso di inutilità, depressione. In una parola: disfattismo. Persino durante i conflitti veri, quelli con le bombe, i generali hanno bisogno di qualche vittoria per tenere alto il morale delle truppe e contenere le diserzioni. A 45 giorni dall’inizio dell’emergenza forse sarebbe tempo per le classi dirigenti di recuperare sobrietà e smettere di apparire sui social e nelle interviste come colonnelli alle prese con una quotidiana Caporetto.
Siamo italiani, non cinesi. Da noi la democrazia deve spiegare, non solo produrre editti e minacciare galera ai contravventori. Siamo spaventati già di nostro, talmente spaventati che oltre il 90 per cento dei controlli sulle strade conferma l’obbedienza alle disposizioni, una quota inimmaginabile nel Paese della furbizia e della trasgressione. I nostri figli piccoli non vanno a scuola, i grandi spesso hanno perso il lavoro, noi temiamo per il nostro reddito, siamo chiusi in case per lo più anguste e scomode, con connessioni che vanno e vengono, tutti i nostri programmi di vita e di lavoro sono saltati: trattarci come una fanteria disobbediente, da spingere in avanti con le baionette e il terrore, non porterà fortuna a nessuno, nemmeno a chi oggi si sente al riparo dalle critiche per la sospensione del dibattito politico e il favore dei sondaggi.
Questo week-end segnerà la fatidica scadenza dei 14 giorni, principale perno delle strategie di tutti i Paesi contro il virus: tutti credevamo che avrebbe coinciso con il momento della verità sui primi effetti dei nostri sacrifici. E tuttavia l’unico messaggio pubblico ripetuto in ogni sede resta “bisogna aspettare” e per informarsi sulle possibili evoluzioni si deve far riferimento a soggetti privati, non ufficiali, al volontariato statistico di gruppi di ricercatori come la pagina Facebook “Analisi numerica e statistica dei dati Covid 19”, creata da cinque giovani astrofisci secondo i quali la temuta crescita esponenziale dei contagi “è alle spalle”. E’ vero? Non è vero? L’ampia documentazione che pubblicano è fondata o no? Oltre la comunicazione sentimentale del disastro, le reprimende televisive ai disobbedienti, le auto della polizia spedite in giro coi megafoni per ripetere “restate a casa”, sarebbe tempo di raccontarci la verità sul significato dei numeri e fornirci qualche previsione razionale per il futuro delle nostre vite.
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