L’ha ingrossata come una donna di Botero, trasformata in un gigantesco broccolo, ridotta a tazzina di caffè, spogliata di capelli e pupille, sbucciata come un’arancia, moltiplicata in tante matrioske e perfino tramutata in un’aliena dal cranio oblungo. Da 50 anni si diverte a elaborarla, spogliarla, ricostruirla, sdoppiarla, colorarla, esorcizzarla, strapazzarla. E lo fa con immutato trasporto: “Con lei sono sempre in fase di sperimentazione. Mi piace giocarci, è stimolante”. La “lei” in questione è l’immagine di Mina, con cui convive in quel di Roncello, piccolo paese della Brianza, vicino a Ornago, dove è nato e cresciuto. La “lei” in questione non è tipa da starsene in un cantuccio. E lì, nella sua casa preceduta dal giardino e abbracciata da un piccolo orto, si è presa i suoi spazi, spaparanzandosi in ogni dove. “In effetti occupa tutte le pareti. Il fatto è che dopo la mostra che feci una quindicina di anni fa, avevo qualcosa come 200 immagini di Mina da sistemare e così le ho appese”. Gianni Ronco, 69 anni, è l’illustratore che con il fotografo Mauro Balletti da cinque decadi si occupa delle copertine dei dischi di Mina, divertendosi a spiazzare i fan più innamorati, a cominciare da se stesso. E oggi che la “Lei” in questione compie 80 anni non smentisce la sua assoluta dedizione e discrezione: “Gli auguri? No, non glieli faccio, ho sempre paura di disturbarla. Magari ne approfitto qui per dirle che vorrei che il suo compleanno durasse in eterno. Non c’è numero che tenga perché Mina vivrà nella storia della musica. E nei cuori”.
Alcune copertine di dischi di Mina realizzate da Gianni Ronco. Piccoli capolavori
La mostra di cui parla è l’unica che ha fatto: “E resterà tale”, confida. “A esporre le mie cose mi vergogno come un ladro. Sono a disagio, quasi come se mi violentassero. E poi mi preoccupo. Mi ricordo quanto stavo male al pensiero dei miei disegni lì, da soli, senza di me”. Disegnare Mina con gli anni oltre che un piacere è diventata una sfida settimanale, visto che per 12 anni Mina ha avuto una rubrica su Vanity Fair sempre corredata da un suo disegno diverso: “L’ho disegnata in tutti i modi. Mi metto lì e spesso non so nemmeno io cosa verrà fuori. L’idea arriva quando meno te l’aspetti e spesso precede qualsiasi lettura intellettuale”. Sarà, ma sta di fatto che Gianni è il complice perfetto di Mina, silenzioso e ironico sicario (ma solo a salve, eh…) di quell’immagine da cui la cantante ha voluto prendere le distanze molti anni fa. La sua ultima apparizione quasi fisica è lo streaming su Youtube che fece collassare i server nel 2001 da cui è stato realizzato un dvd imperdibile.
“La volta che le ho mandato il disegno di lei cicciona, nel periodo in cui si faceva un gran parlare e straparlare della sua forma fisica, dentro di me ero terrorizzato. Temevo di aver fatto una cosa offensiva, mi dicevo: “Ora mi manda a quel paese, mi ricopre di parolacce”.
E invece?
“Invece Mina si è divertita come una matta. E ha pure deciso di usare quell’immagine per la copertina di Caterpillar. Ma lei è così. Le piacciono le provocazioni. E giustamente, secondo me”.
Com’è lavorare con lei?
“Facile. È una persona molto cara e rispettosa degli altri. Non mi ha mai detto nulla, non si è mai arrabbiata. Se una cosa le piace lo capisci perché la usa. Altrimenti la lascia cadere. Non ci sono intermediari. Tutto è molto diretto e semplice”.
Ma vi sentite?
“Sì, qualche volta ci sentiamo al telefono. A volte mi chiama per farmi i complimenti per qualcosa che le è piaciuto”.
Che cosa nell’immagine di Mina la stimola?
“Ha una faccia molto particolare. Anche se ne modifichi mille dettagli, anche se la trucchi nei modi più strani, esce sempre fuori. E poi sono innamorato del suo naso. Non è perfetto ma è molto austero e particolare. Graficamente bellissimo”.
Qual è stato il primo lavoro che ha fatto per Mina?
“La copertina di un 45 giri, “Insieme”. Era il 1970. Io ero poco più che un ragazzino imbranato e lavoravo in uno studio grafico di Milano dove si facevano anche le copertine dei dischi. A quei tempi le cover avevano molta importanza anche perché lo spazio su cui agire era molto più grande del francobollo attuale. E poi di dischi allora se ne facevano a migliaia. Alcune copertine, soprattutto del mondo anglosassone, erano dei veri capolavori. Io ero in prova e mi diedero da fare proprio la cover di “Insieme” per vedere come me la cavavo..”.
Nella copertina si vede il volto di Mina circondato dal colore: come l’ha realizzata?
“Ho preso una foto stampata su un giornale e con la trielina l’ho riprodotta su un foglio rivesciandola. E poi l’ho spruzzata con dei colori”.
E Mina cosa disse?
“Non ne ho idea. Io non la conoscevo, né avevo sentito la canzone. Ero solo un suo fervente ammiratore”.
Quando l’ha vista per la prima volta? Se lo ricorda?
“Altroché. La conobbi alla Bussola, nel 1972. Lei faceva lì una serie di concerti. Io la andai a salutare”.
Cosa le disse?
“Mi riempì di complimenti per il mio lavoro sulle sue copertine. La trovai molto gioiosa e alla mano. Io invece ero muto come un pesce. Un pezzo di marmo. Vederla dal vivo è qualcosa che ti entusiasma e ti distrugge allo stesso tempo. È un’emozione molto forte perché ha un carisma e un’energia particolari. Ti entra dentro. E poi ha questa voce bellissima che modula in un modo unico”.
Per caso ha assistito anche a qualcuno dei concerti del 1978, gli ultimi?
“Sì, sotto un tendone, sempre in Versilia. Il pubblico batteva le mani e stava tutta la sera in piedi. Era pieno all’inverosimile. Lei era straordinaria. Non parlava. Cantava un pezzo dietro l’altro. Era vestita di nero, aveva i capelli lunghi, rossi. Non ho mai più visto un concerto così coinvolgente. Chi non c’era non può capire né immaginare”.
I mille volti di un mito
Nel frattempo lei aveva iniziato a giocare con la sua immagine, stravolgendola, a volte nascondendola del tutto. Successe nel 1971 per l’album “Mina”: in copertina, tra lo stupore generale, anziché il volto della cantante, una scimmietta. Perché?
“Per non fare la solita faccia. Mina voleva un’immagine non sua e io ho pensato alla scimmia. Quell’immagine fu molto discussa all’epoca. L’anno dopo feci un’altra cover, quella di “Cinquemilaquarantatre”, completamente grafica composta da vari cerchi stratificati. Ne feci quattro versioni di differenti tonalità, marrone, beige, blu e verde. Anche quella fu una scelta coraggiosa da parte di Mina. Ma lei con la sua immagine ci gioca molto. Non tiene alla sua immagine, ma cerca l’immagine giusta”.
Nel ‘72 ritorna la scimmia sulla copertina di “Altro”. Stavolta ha una mano-zampa sulla fronte. Come mai?
“Quel disegno di inchiostro di china appartiene a una serie che feci con il rapidografo. Ritrassi i suoi atteggiamenti più comuni. Ricordo che la disegnai quasi senza staccare la penna dal foglio. Un gioco grafico, tutto lì”.
Un gioco che continuò nel ‘74 con un’altra coppia di copertine, quelle per gli album “Mina” e “Baby Gate”.
“Usai l’aerografo. In “Mina” la feci seduta e girata di spalle, in atteggiamenti quotidiani e non da diva. Sulla copertina tiene in mano un panino con la mortadella. In “Baby Gate” la feci diva Anni 50 con una coppa da champagne in mano: ma nella coppa c’era gazzosa. Sempre anticonformista, spiazzante e autoironica”.
Mina senza capelli e senza pupille. Una specie di testa di gesso ma animata e le labbra macchiate da un lecca lecca multicolore: nel 1979 si è davvero divertito. Poche copertine sono più inquietanti di “Attila”. Mina le aveva chiesto qualcosa del genere?
“Ma no (ride di giusto, ndr). Non c’è mai un mandato. Mina non ti condiziona minimamente e in genere accetta le proposte. Con “Attila” volevo ripulire completamente la sua immagine, togliere tutto. Non c’è niente, capelli, occhi, niente eppure resta sempre incontrovertibilmente lei. Poi, visto che nel disegno era bianca e nera, per aggiungerci un po’ di colore ho pensato a quel lecca lecca”.
Insomma, un tentativo di distruggere la sua immagine?
“Distruggerla è impossibile, perché è così prepotente che ritorna sempre. Era un modo per sperimentare, per ripulirla da tutto e lasciarla lei, nella sua essenza. Io la trovo un’immagine molto misteriosa. Ma non mi chieda perché. Il titolo dell’album venne dopo, come accade quasi sempre: Mina la vide e disse che non poteva che intitolarsi Attila”.
Facciamo un salto temporale e atterriamo nel 2011, quando confeziona un’altra Mina sorprendente, l’aliena di “Piccolino”.
“Quell’immagine piace moltissimo a Massimiliano Pani e anche Mina quando gliela mandai mi telefonò ammirata. Quel cranio oblungo nasce un po’ dalle creature di “Metropolis” di Fritz Lang. Non c’è un motivo preciso, sono esperimenti. Vivo circondato di tante Mine di carta e ho un vastissimo archivio nel computer. La ritaglio, la coloro, la dipingo, la strapazzo, poverina, gliene faccio di tutti i colori. Ma il fatto è che dall’altra parte c’è una persona che come me ama il gioco”.
Un gioco che a volte si fa beffe dei media e di tanti pregiudizi e cliché. È successo con la Mina extra-large, alla maniera di Botero, ma è successo anche con la caricatura di Mina urlatrice che si vede sulla copertina di “Bau”, nel 2006.
“Anche in quel caso ero spaventato all’idea di fargliela vedere. Ma lei si è divertita tantissimo. Quell’enorme bocca spalancata era solo un modo di ironizzare su un luogo comune”.
A un certo punto, per la copertina di “Mina Celentano” (1998) l’ha pure trasformata in papera.
“Non avevo mai fatto niente del genere. Me lo chiese lei e mi divertii moltissimo a imitare lo stile Disney. Quell’album è corredato da un libretto con una piccola storia a fumetti dei due paperi: i testi li ha scritti Adriano Celentano”.
Negli ultimi dieci anni, complice la collaborazione di Mina con Vanity Fair, ha cominciato a disegnarla settimanalmente. Nei disegni c’è sempre la Mina persona che si porta a spasso la Mina immagine. Di chi è stata l’idea?
“Di Mina. All’inizio facevo solo la sua caricatura. Poi lei mi ha suggerito di fare anche il doppione, la sua immagine che in genere la Mina-persona guarda con una certa perplessità. Di questi disegni credo di averne fatto almeno 500. Ormai è diventata una sfida con me stesso. A volte non so dove prendere l’ispirazione ma devo dire che Mina è sempre molto stimolante perché tutto è gioco ma allo stesso tempo dietro ogni cosa c’è una grande profondità di pensiero che a volte scopri solo alla fine. In genere le mando i disegni in gruppetti di 4 o 5 per volta. Lei non me ne ha mai bocciato uno”.
Ci ha mai pensato che lavora con Mina da 50 anni?
“Mamma mia, 50 anni, è quasi una vita…”.
Insomma, un fedelissimo.
“Spero di sì. Credo di avere conquistato la sua fiducia. Quanto a me, inizialmente ero un suo estimatore. Conoscevo la cantante. Poi, poco per volta, ho scoperto la persona”.
Di Mina è nota la ritrosia. E lei, Gianni, che tipo è?
“Anch’io sono un orso”.
Di cosa è fatta la sua vita, disegni a parte?
“Zappo il mio piccolo orto. Faccio delle camminate per le cascine e per i campi. Vado a prendere a scuola il mio nipotino e ci chiacchiero. Cucino, sto imparando a fare torte”.
Quand’è l’ultima volta che vi siete visti con Mina?
“Mah, sarà una quindicina di anni fa al ristorante. Mi ricordo ogni momento di quelle serate. Mina rimane impressa dall’inizio alla fine. La sua presenza impregna l’ambiente, come un profumo, un’essenza”.
Dieci anni?
“Non è importante vedersi ma sentirsi. In tutti i sensi”.