Il prefetto di Taranto ha emesso un provvedimento che nella sostanza non permette di consegnare i prodotti fino al 3 aprile. Il che significa che i piazzali sono pieni di merci che non possono essere né trasportate al di fuori dello stabilimento né, dunque, consegnate. Un paradosso che ha ripercussioni economiche
di Andrea Carli
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Produrre sì, commercializzare e fatturare quanto si è prodotto no. È il paradosso che caratterizza in queste ore l’attività dell’Ilva di Taranto: rientra tra le aziende che, stando all’elenco delle attività essenziali che rimangono aperte in base al decreto del Presidente del Consiglio del 22 marzo, possono continuare a lavorare, ma il prefetto di Taranto ha emesso un provvedimento che nella sostanza non permette di consegnare i prodotti fino al 3 aprile. Il che significa che i piazzali sono pieni di merci che non possono essere né trasportate al di fuori dello stabilimento né, dunque, consegnate. Un paradosso che ha ripercussioni economiche, soprattutto sotto il profilo dei costi. Allo stato attuale, spiegano dall’azienda, non è stato fatto alcun ricorso al Tar.
Il decreto del Prefetto
Il paradosso è la conseguenza, come si diceva, di un decreto della prefettura di Taranto del 26 marzo, che fa riferimento all’ultima stretta promossa dal Governo per la chiusura delle attività non essenziali al fine di arginare la diffusione del coronavirus (Dpcm del 22 marzo). Il documento prevede la sospensione a partire dalla avvenuta notifica del provvedimento, fino al 3 aprile 2020, della «attività produttiva a fini commerciali dello stabilimento siderurgico di Taranto». Allo stesso tempo, il prefetto ha deciso che «fino al 3 aprile 2020 è mantenuto l’assetto attuale dell’attività dello stabilmento necessario per garantire la salvaguardia degli impianti e la sicurezza degli stessi da più elevati livelli di rischio di incidenti, con l’impiego giornaliero massimo, suddiviso in turni, di n.3.500 dipendenti diretti e di n.2000 dipendenti delle imprese dell’indotto che operano all’interno dell’area ex Ilva».
Il paradosso: produrre senza poter consegnare le merci
Daniele Ripamonti è uno degli avvocati di Arcelor Mittal Italia. «Il Dpcm – spiega – ha bloccato tutte le attività produttive, ad eccezione di alcune che sono state indicate in un allegato al provvedimento. Tra queste, quelle a ciclo continuo». Il decreto del presidente del Consiglio, continua l’avvocato, «prevede anche che il prefetto possa adottare misure ulteriormente restrittive e limitazioni nel caso in cui ritiene che il mantenere aperta una determinata attività possa aumentare la diffusione dei contagi. Nel nostro caso il prefetto, dopo aver riconosciuto che le misure da noi adottate per il contenimento dell’epidemia erano adeguate, ha sospeso l’attività a fini commerciali fino al 3 aprile». Si è così creata una situazione paradossale: «In sostanza – conclude l’avvocato – possiamo produrre l’acciaio, ma non possiamo consegnarlo. O meglio: non lo possiamo consegnare almeno fino al 3 aprile, ma si è già capito che la stretta potrebbe essere prolungata dal Governo. I prodotti devono rimanere lì. Produciamo ma non possiamo commercializzare quanto esce dallo stabilimento. Non possiamo nemmeno fatturare i beni che produciamo. Un’azienda non può tenere in piedi una produzione fine a se stessa: è una produzione totalmente in perdita, contro il concetto di impresa. Non ci sono le consizioni per andare avanti in questo modo – è la conclusione -. La specificazione a fini commerciali non rientra tra i poteri che il Dpcm ha attributo al prefetto».
Operaio positivo a coronavirus
Intanto risulta positivo al Coronavirus l’operaio dello stabilimento ArcelorMittal di Taranto, addetto agli impianti di ossigeno (reparto PGT), che venerdì notte, mentre era in servizio in fabbrica, è stato colto da malore.
Per approfondire:
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● Coronavirus, ecco il decreto che blocca le attività non essenziali