L’Italia non è un Paese così distante dalle realtà africane o asiatiche dove animali selvatici appartenenti a specie spesso protette e in via d’estinzione vengono commerciati, massacrati o venduti per i fini più svariati. L’Italia è, infatti, un Paese ad alto tasso di criminalità ambientale, come emerge chiaramente già dal report “Bracconaggio Connection” pubblicato dal WWF nel 2018, che dimostra come animali selvatici in via d’estinzione siano oggetto di lucrosi traffici illeciti, nazionali e internazionali, finalizzati ad alimentare diversi mercati come quello della ristorazione.
Alcuni esempi di azioni criminali perpetrate nei confronti della fauna selvatica protetta nel nostro Paese sono la cattura ad uso domestico e commerciale di piccoli uccelli con l’utilizzo di trappole artigianali ma tremendamente efficaci come gli archetti, le reti, il vischio, principalmente nelle valli nel Nord Italia; l’uccisione a scopo “ricreativo” e tradizionale di rapaci in migrazione sullo Stretto di Messina; e perfino i terribili abbattimenti di lupi e orsi (con veleno, armi da fuoco, trappole) per ritorsione rispetto ad ipotizzati danni a loro attribuiti, lungo tutto l’arco appenninico e sulle Alpi.
In questi giorni, giustamente, l’attenzione di tutti è rivolta ai paesi asiatici e alle oramai ingiustificabili tradizioni fatte di uccisione e commercializzazione di specie selvatiche in totale noncuranza delle esigenze di tutela della biodiversità e dei rischi igienico sanitari. Anche in Italia, però, l’uccisione e il commercio di animali protetti a scopo alimentare sono un problema grave ed attuale:basti pensare all’uccisione di piccoli uccelli per la preparazione di ricette locali (come la polenta e osei) nelle valli bresciane, in Veneto e in Sardegna; di istrici nella maremma toscana e laziale, che diventano l’ingrediente principale per la famosa spinosa; al bracconaggio di piccoli ghiri (i driomi) per la preparazione di piatti della tradizione in Calabria; fino, addirittura, alla uccisione di delfini per la preparazione del mosciame. Il traffico illegale di specie selvatiche ha avuto, e continua ad avere, un profondo impatto sulla conservazione della biodiversità, in quanto causa di estinzione o rarefazione di specie, introduzione di specie aliene, spesso invasive, e propagazione di patologie.
Crimini contro gli uccelli. Del lungo elenco di reati previsti dal nostro ordinamento, i crimini commessi contro gli uccelli sono quelli che più colpiscono per dimensione e diffusione. Secondo la Lega Italiana per la Protezione degli Uccelli (LIPU) sono 8 milioni i volatili che ogni anno vengono uccisi illegalmente in Italia per poi essere commerciati, manipolati o mangiati. Le specie più colpite ogni anno sono Fringuelli (2-3 milioni), Pispole (circa 500 mila), Pettirossi (circa fino a 600 mila), Frosoni (circa 200 mila) e Storni (circa 500 mila). Nonostante il lockdown, nelle ultime settimane sono stati registrati numerosissimi episodi di bracconaggio con l’utilizzo di strumenti quali le trappole, armi da fuoco e richiami elettroacustici. Sull’Isola di Ischia, ad esempio, è stato rinvenuto un esemplare di Upupa abbattuto a fucilate; mentre nelle isole pontine e nell’area del Vesuvio le guardie volontarie WWF, in collaborazione con i Carabinieri Forestali, hanno sorpreso in flagrante un bracconiere nei confronti del quale, oltre alle sanzioni previste per l’esercizio di caccia illegale, sono state applicate quelle relative alla violazione delle vigenti norme in materia di contenimento del virus.
Il traffico di rapaci per la falconeria. Il commercio illegale di rapaci sta mettendo a rischio il futuro di specie cruciali per la biodiversità. In Europa la principale minaccia alla conservazione degli uccelli da preda è il bracconaggio.
Una forma particolare di bracconaggio consiste nel prelievo in natura di uova e pulcini finalizzato ad alimentare il traffico di specie rare e protette. Ogni anno, centinaia di nidiacei di rapaci (pulli) sono illegalmente commercializzati per fini di collezionismo o per essere destinati alla pratica della falconeria, principalmente in Europa centrale, Nord America e Stati del Golfo Persico. Il traffico illegale dei rapaci – che genera notevoli guadagni – è favorito dai social media, attraverso i quali e più facile e veloce stabile contatti su scala planetaria, nonostante le numerose iniziative dei gestori per bloccare gli annunci illeciti.
Il WWF è attivo nel contrasto a questo commercio criminale di natura attraverso il progetto UE ConRaSi, dedicato alla conservazione di rapaci particolarmente rari in Sicilia. Recentemente proprio in Sicilia le forze di polizia hanno scoperto un traffico illecito che coinvolgeva l’Aquila di Bonelli e altre specie minacciate, tra cui il Lanario e il Capovaccaio. Veniva, infatti, effettuato prelievo sistematico di nidiacei e uova (in qualche caso anche di individui adulti) successivamente venduti all’interno di un sistema di compravendita illegale, legato a falconeria e collezionismo. Il prelievo di pulli e uova ha interessato un elevato numero di siti di Aquila di Bonelli, incidendo gravemente sulla popolazione siciliana di questa specie che attualmente si riproduce solo in Sicilia e in Sardegna. Questo fenomeno è anche tra le cause principali della rarefazione del falco Lanario in ambito nazionale.
Il wildlife trade di specie ittiche. In Italia esiste anche diffuso prelievo e commercio illegale di specie ittiche che si concentra nel bacino del Po. I principali responsabili sono bande di pescatori illegali, che utilizzano metodi altamente distruttivi per la fauna ittica, come veleni o strumenti meccanici come l’elettrostorditore, congegno di facile realizzazione che permette di uccidere, stordire o mettere in fuga il pesce per mezzo di scariche elettriche. Con questo dispositivo artigianale i pescatori illegali sono in grado di uccidere o concentrare specie quali carpe, cavedani o anguille in zone determinate e con l’impiego di reti da pesca vietate, di tipo tramaglio, facendo vere e proprie razzie. Tale commercio, che viene effettuate quasi esclusivamente senza alcun tipo di autorizzazione, viola le normative in materia di pesca professionale nelle acque interne, nonché quelle igienico sanitarie previste dal nostro ordinamento e ha assunto dimensioni preoccupanti. Le indagini fino ad ora avviate stimano la presenza nell’area del Po di circa 400 bracconieri, per un totale di 35 squadre conosciute. E si è stimato che ogni banda, composta in media da un minimo di 6 individui fino ad un massimo di 15 o più, fatturi ogni settimana fino a 20.000 euro, commerciando non solo in Italia ma anche nell’Europa dell’est, come emerge dal più recente report TRAFFIC sui commerci di specie in UE, si evince come l’Italia sia tra i principali esportatori illegali di anguille verso il sud est Asiatico.
Wildlife trade in Italia e problemi sanitari. Alla luce di quanto il commercio non controllato e non regolato di fauna selvatica ha provocato nei mercati asiatici (pandemia COVID-19) non possiamo non sottolineare che l’uccisione, la manipolazione, l’utilizzo e il commercio di fauna selvatica rappresenta un rischio per la salute anche nel nostro Paese. L’uccisione, l’abbandono di scarti e la macellazione illegale di cinghiali in Italia, ad esempio, oltre a sostenere un fruttuoso mercato nero, può contribuire alla diffusone all’uomo di patogeni come la trichinella (un parassita che infesta la muscolatura degli animali e si tramette tramite il consumo di carni poco cotte) o della peste suina africana, già diffusa in Cina e in molti paesi europei, che può trasmettersi ai maiali domestici, con rischi di impatti economici e sociali elevatissimi. Anche l’abbandono in natura di animali da compagnia o da collezione può causare danni sanitari gravissimi sulle specie autoctone: è il caso della peste del gambero, malattia letale per i gamberi d’acqua dolce nostrani trasmessa dal gambero della Louisiana, e del batracochitridio, un fungo che sta mettendo a serio rischio numerose popolazioni di anfibi italiani, la cui diffusione è stata favorita dal commercio dello xenopo liscio, una rana originaria dell’Africa australe.
Il WWF Italia ha attivato una petizione che chiede all’Organizzazione Mondiale della Sanità di raccomandare la chiusura dei mercati di animali selvatici ad alto rischio e che vengano adottate regole ancora più stringenti nei confronti dei commerci di fauna selvatica, sia per tutelare la salute umana che per il benessere degli animali che sono al centro di questi traffici, riducendo al contempo la domanda di questi prodotti.
È possibile sottoscrivere la petizione su wwf.it/illegaltrade.