Su questo terreno si misurerà la tenuta della maggioranza che sostiene il governo da qui al varo della prossima legge di Bilancio
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«Non torniamo all’Italietta», avverte il segretario del Pd, Nicola Zingaretti. Ed è proprio questa scommessa a la sfida che attende il governo. Dal “piano Colao” agli “stati generali dell’economia”, l’obiettivo è provare a impostare un credibile un piano di riforme strutturali e di investimenti immediatamente “cantierabili” da sottoporre in autunno al vaglio di Bruxelles. Passaggio ineludibile per ottenere le ingenti risorse del piano europeo per la ripresa, ribattezzato “New generation Eu” dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen (173 miliardi tra sovvenzioni e prestiti). Ed è su questo terreno, quello della cosiddetta Fase 3, che si misurerà la tenuta della maggioranza che sostiene il governo da qui al varo della prossima legge di Bilancio. Il tutto in attesa che la proposta avanzata dalla Commissione riceva il via libera dal Consiglio Ue, e sarà tutt’altro che semplice. Si tratta di un «compromesso equilibrato» – osserva il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri – che non dovrà essere ridimensionato nel corso della trattativa con i paesi più rigoristi del nord Europa (o “frugali” come si autodefiniscono), tra questi in particolare Austria, Olanda e Ungheria.
La scommessa della ripartenza
Dalle semplificazioni (invocate e promesse da decenni) alla revisione del sistema fiscale, dalla riforma della giustizia civile allo snellimento delle procedure per far decollare gli investimenti pubblici, per finire con la formazione, la ricerca e l’istruzione. L’elenco degli impegni che attendono il Governo è nutrito, e “l’Italietta” evocata da Zingaretti si materializza nel rischio ben concreto che alla fine gli intenti riformatori finiscano imbrigliati nella rete degli impedimenti burocratici, nella difficoltà a rendere effettivamente operativi i provvedimenti attuativi (la cosiddetta legislazione secondaria). Questa volta non si potranno però replicare le esperienze del passato, a partire dalla cronica incapacità del nostro Paese a fruire a pieno di tutti gli stanziamenti provenienti da Bruxelles (dai fondi strutturali ai fondi di coesione e alle quote del cofinanziamento nazionale dei progetti europei). Il programma di interventi strutturali che andrà presentato tra settembre e ottobre dovrà essere corredato da un cronoprogramma con annesse le tappe di realizzazione delle diverse riforme. A ogni percorso di avanzamento verrà attribuita una quota delle risorse del Piano europeo. Ed è da cogliere al volo la nuova flessibilità adottata dalla Commissione Ue attraverso l’eliminazione dei «vincoli di concentrazione tematica» delle risorse provenienti dai fondi strutturali, per ora limitatamente alle spese legate all’emergenza.
Il ciclo delle riforme e la direzione della politica
In poche parole non è sufficiente che una riforma strutturale riceva il via libera da parte del Parlamento. Poi occorre attuarla sul serio. E anche quando l’attuazione di una riforma si colloca su livelli ottimali, occorre del tempo perché i suoi effetti siano pienamente “visibili” in termini di incremento del Pil e di aumento della produttività. L’occasione è propizia, e potrebbe consentire al nostro Paese di operare quello “scatto” atteso da decenni. Ecco allora che quel che ci si attende, alla fine del round di consultazioni e di ricognizioni avviato dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, è una direzione di marcia che guidi il percorso di riforme. Il che presuppone una ferma unità di intenti, al momento alquanto complessa da mettere in campo a causa delle persistenti divergenze strategiche tra Pd e M5S su passaggi decisivi del costituendo programma per la ripresa, a partire dalla politica industriale e da come si articolerà la stessa riforma fiscale.