Alberto Brambilla
Pubblicato il: 31/01/2019 13:36
“Assieme a quota 100 rispunta il ‘divieto di cumulo’; un istituto che ha generato una montagna di lavoro nero e che, con molta fatica, dopo oltre 15 anni, riuscimmo a eliminare a decorrere dal 2010”. E’ netta la critica di Alberto Brambilla, presidente del Centro Studi Itinerari Previdenziali, all’articolo 14 del decreto su pensioni e reddito cittadinanza, che stabilisce l’impossibilità, dal primo giorno di decorrenza della pensione e fino alla maturazione dei requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia, di cumulare i redditi da lavoro dipendente o autonomo, con l’assegno pensionistico. Fanno eccezione i redditi derivanti da lavoro autonomo occasionale, nel limite di 5.000 euro lordi annui.
“); } else { document.write(“”); }
Brambilla, che ha ricoperto il ruolo di sottosegretario al Lavoro con delega alla Previdenza sociale e ha diretto il Nucleo (ora chiuso) di valutazione della spesa previdenziale presso il ministero del Lavoro, ricorda di “aver partecipato alle riforme” proprio per eliminare il divieto di cumulo. “Anziché trovare soluzioni tecniche equitative per ridurre l’impatto di quota 100 -spiega in un paper elaborato insieme a Gianni Geroldi e Laura Neroni- si applicano norme vecchie e superate come divieti, finestre e temporalità. Insomma, da una parte, si incentiva ad andare in pensione anticipata ma, se si va, non si ha più il diritto di lavorare, si deve stare in panchina al parco o sul divano perché c’è il divieto di cumulo tra redditi da lavoro e reddito da pensione”.
Tra le soluzioni che avrebbero portato equità, Brambilla cita ad esempio: “Prima si va in pensione, ricevendo quindi, l’assegno per più anni e più bassa sarà la pensione; più tardi si va in quiescenza e maggiore sarà l’importo della prestazione, cioè lo stesso principio che regola con una formula attuariale il metodo di calcolo contributivo”.
Il divieto di cumulo è “una decisione avvilente, umiliante per quei tanti ‘maturi’ che vorrebbero, come accade ormai nel resto delle economie avanzate, sostegni e non ostacoli all’invecchiamento attivo, magari facendo un lavoro diverso che piace di più e che genera beneficio fisico e psicologico” dice Brambilla. “E così il Governo Renzi, prima (con la legge Madia che esclude i pensionati dalla vita attiva pubblica), e il Governo Conte, adesso, decretano che l’Italia è tanto ricca e ha così tanta occupazione da poter fare a meno di quasi un terzo della popolazione”, stigmatizza Brambilla. “A questo si somma la prosecuzione prevista in legge di Bilancio della riduzione dell’indicizzazione all’inflazione delle pensioni superiori a tre volte il minimo (1.523 euro lordi al mese) e per le pensioni più alte anche un ‘taglio’ lineare tra il 15 e il 40% che, tradotto in termini di aliquota fiscale sui redditi delle persone fisiche, significa che i redditi da pensione superiori ai 100 mila euro sono assoggettati ad aliquote di prelievo comprese tra il 58% e l’88%”, aggiunge Brambilla.
“Un progetto confuso, costoso e pericoloso che denota poca conoscenza dei problemi, mancanza di memoria storica e un disprezzo per il merito, l’esperienza e la preparazione”. E’ duro il giudizio di Alberto Brambilla, sulla norma contenuta nel decreto pensioni e reddito di cittadinanza, che prevede il divieto di cumulo tra redditi di lavoro e pensione con quota 100. “Con una mano si dà la possibilità di anticipare il pensionamento -spiega Brambilla- e con l’altra si toglie il diritto al lavoro, si riduce l’importo della pensione sia per la mancata indicizzazione all’inflazione sia per i tagli”. Non solo. Dal divieto di cumulo arriva un danno per l’Erario. “Oggi abbiamo un milione di pensionati che lavorano e che si pagano la loro pensione con il cumulo delle imposte; fossero 2 milioni lo Stato ne avrebbe un doppio beneficio”, dice il professore.
Insomma, non serve ‘colpire’ i pensionati per far lavorare i giovani: “L’esperienza dei Paesi sviluppati dimostra che più è elevato il tasso di occupazione degli over 55 e più è basso l’indice di disoccupazione giovanile”, afferma Brambilla. “E non esiste alcuna evidenza empirica che per ogni lavoratore che va in pensione si assume un giovane mentre è evidente che il lavoro di un soggetto con curriculum ed esperienza non può essere sostituito da un giovane apprendista”, conclude.
“); } else { document.write(“”); }
ricalcolare tutte le pensioni con il contributivo.