Hieronymus Bosch (Circa 1450 – 1516), Il Giardino delle Delizie, 1500-1505, Olio su legno di quercia, 386 x 220 cm, Madrid, Museo del Prado
Fino al prossimo 13 settembre dall’ampia Galleria centrale si dipana, attraverso le sale adiacenti, un percorso inedito che, grazie ad una nuova disposizione delle opere più iconiche della collezione museale, offre al pubblico un’esperienza senza precedenti. L’antico Museo Real de Pinturas di Madrid – che ha aperto i battenti nel 1819, ma le cui collezioni hanno origine già nel 1469, con il matrimonio di Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona – saluta gli ospiti in una rinnovata veste.
Un’immagine del Museo del Prado a Madrid | Foto: © donfalcone via Pixabay
Carlo V e la Furia di Leone e Pompeo Leoni
A dare il benvenuto agli ospiti è un Carlo V di Leone e Pompeo Leoni, eccezionalmente spogliato dell’armatura e nudo come un eroe classico. Nel 1549 a Bruxelles il sovrano aveva incaricato il medaglista di eseguire un gruppo di statue di se stesso e di sua moglie defunta, l’imperatrice Elisabetta del Portogallo. Tra queste, Carlo V e la Furia, che rappresenta la prima scultura monumentale di Leoni.
Nella Sala 24 superiamo due delle opere più importanti del Museo, la Deposizione dalla Croce di Rogier Van der Weyden e l’Annunciazione di Beato Angelico, insieme per la prima volta.
L’Annunciazione di Beato Angelico
L’Annunciazione è probabilmente la terza di una serie di tre grandi tavole dipinte dall’Angelico negli anni trenta del Quattrocento, accanto all’Annunciazione di Cortona e a quella di San Giovanni Valdarno. Realizzata per il Convento di San Domenico, dove lo stesso Angelico era frate, entrò presto nelle collezioni reali della monarchia spagnola e da qui al Prado.
I personaggi si muovono in un hortus conclusus, allusivo alla verginità di Maria, tra piante dipinte con dovizia di dettagli, tra le quali spiccano la palma, simbolo del futuro martirio di Cristo, e le rose rosse, allusione al sangue della Passione.
La presenza di Adamo ed Eva richiama il ciclo della dannazione dell’umanità, ricomposta tramite la salvezza in Cristo e resa possibile dall’accettazione di Maria. Un un raggio di luce divina, attraverso la Colomba dello Spirito Santo, illumina la Vergine, che si china dinnanzi all’Angelo accettando la volontà divina.
Beato Angelico, Annunciazione, 1435 circa, Tempera su tavola, Madrid, Museo del Prado
Ci tuffiamo idealmente nelle Sale 25 e 26, dove attendono i visitatori i capolavori di Bosch, Tiziano, Correggio, Raffaello,Tintoretto e Guido Reni.
Il Giardino delle delizie di Bosch
Nel trittico Giardino delle delizie terrene – la creazione più complessa ed enigmatica di Hieronymus Bosch – è rappresentato dal pittore il destino dell’umanità, secondo la dottrina cristiana medievale.
La narrazione, da leggersi da sinistra verso destra, raffigura Adamo ed Eva in un Paradiso terrestre che inganna i sensi, sprofondato nella tentazione della lussuria. Uomini e donne, bianchi e neri, raffigurati in coppie o in gruppi mentre intrattengono relazioni anche di natura proibita, si mescolano ad animali, reali e immaginari, ma anche a piante e frutti, molto più grandi delle loro dimensioni reali in scala.
La parte centrale del pannello è occupata dal Giardino delle delizie, nel quale figura una piscina piena di donne nude, intorno a cui si muovono uomini a cavalcioni su diversi animali associati ai peccati. I tormenti della dannazione, e quindi l’Inferno, definito anche “l’Inferno musicale” per la presenza di strumenti utilizzati per torturare i peccatori, occupa invece il pannello a destra.
Hieronymus Bosch (Circa 1450 – 1516), Il Giardino delle Delizie, 1500-1505, Olio su legno di quercia, 386 x 220 cm, Madrid, Museo del Prado
Il Ritratto di cardinale di Raffaello
Nel nuovo allestimento del Prado, non manca il Cardinale, un’opera tarda di Raffaello, che ritrae un alto prelato della corte di Giulio II, assorto nella sua posa spirituale, con gli occhi rivolti allo spettatore e con una semplicità d’impostazione che rendono la tavola uno dei più alti esempi della ritrattistica raffaellesca. L’influenza fiamminga è evidente nella magistrale resa del viso, mentre le raffinate trame degli abiti, come la lucentezza della mantella di seta rossa, rivelano una conoscenza diretta della pittura veneziana.
La struttura triangolare deriva da Leonardo, in particolare dalla Gioconda.
Raffaello Sanzio, Ritratto di cardinale, 1510-1511 circa, Olio su tavola, 61 x 79 cm, Madrid, Museo del Prado
Nelle sale a seguire, il pubblico assapora una delle tappe più stimolanti della visita con l’incontro, per la prima volta dal 1929, tra Las Meninas e Le filatrici di Velázquez.
Las Meninas di Velázquez
Luca Giordano l’aveva definita una «teologia della pittura», ed in effetti quest’opera maestra del pittore ufficiale della corte di Filippo IV, ambientata nello studio dell’artista, nel Real Alcázar di Madrid, colpisce non poco l’osservatore. La tela ritrae l’Infanta Margarita che, nonostante la giovanissima età, si erge con orgoglio tra le sue dame di corte, la sua nana e il mastino. La coppia regnante appare riflessa nello specchio sopra la testa dell’Infanta, e, nonostante possa essere scorta solo attraverso il riflesso dello specchio, rappresenta il vero punto focale del dipinto.
Ci troviamo di fronte ad un’autentica illusione creata da Velázquez che ci trascina in un’opera moderna.
Questa una modernissima “macchina della rappresentazione”, come la definì Michel Foucault, mostra per la prima volta nella storia dell’arte, un backstage – in questo caso il ritratto dei sovrani – con il pittore al lavoro davanti al cavalletto e, in primo piano, l’infanta, i paggi e le damigelle intente a giocare.
Diego Velázquez (1599 – 1660), Las Meninas, 1656-1657, Olio su tela, 318 x 276 cm, Madrid, Museo del Prado
Le Filatrici di Velàsquez
Intitolato fino al 1948 La fabbrica di arazzi di Santa Isabella in Madrid, quest’olio su tela condensa un significativo brano di storia del museo. Al di là di quella che è stata a lungo considerata una semplice scena di genere, con le cinque donne intente a svolgere il loro lavoro, riconosciamo un arazzo tratto dal Ratto di Europa di Tiziano, che Velàsquez conosceva in quanto riprodotto da Rubens attraverso una copia oggi al Prado. La manifattura racchiude un passaggio storico chiave: la perdita dei Paesi Bassi, importantissimo centro di lavorazione delle raffinate opere su tessuto, durante il regno di Filippo II e la creazione di nuovi laboratori in Spagna.
I dipinti religiosi e mitologici di Rubens abbelliscono le Sale 28 e 29, con un riferimento consapevole a Tiziano attraverso la Danae.
La Danae di Tiziano
Del mito di Danae Tiziano dipinge, nel corso degli anni, varie versioni. Questa del Prado fu realizzata intorno al 1553 su commissione del re di Spagna Filippo II e si inserisce tra le cosiddette “poesie”, opere a soggetto mitologico.
La tela descrive il momento in cui Giove feconda la principessa sotto forma di pioggia dorata. La fanciulla è completamente nuda, affiancata dalla nutrice (al posto di Cupido) e dal suo cagnolino, mentre Giove si palesa sotto forma di tuono.
Il nudo sensuale della Danae dovette stregare il cattolicissimo Filippo II che, si dice, lo contemplasse in una stanza privata facendolo coprire con un lenzuolo al passaggio della regina.
Tiziano Vecellio, Danae, 1660-1665, Olio su tela, 181.2 x 129.8 cm, Museo del Prado
Nelle sale dell’ala Nord che fiancheggiano la Galleria Ribera e il naturalismo spagnolo, da Maíno e Zurbarán, dialogano con i colleghi europei Caravaggio e Latour, mentre El Greco fa coppia con Artemisia Gentileschi.
I Maestri spagnoli del XVII secolo, come Murillo guardano, dall’area Sud della Galleria, ai contemporanei della scuola francese, come Claude Lorrain, e agli artisti fiamminghi come Van Dyck.
Il nuovo percorso espositivo messo a punto dal Prado fino al prossimo 13 settembre termina con il Baccanale di Tiziano e con l’Immacolata Concezione di Tiepolo.
Baccanale di Tiziano
Gli abitanti dell’Isola di Andros, gli “Andrii”, rievocavano, una volta all’anno, l’arrivo di Dioniso e Arianna, abbandonandosi ai piaceri sfrenati della danza e della musica. Per Tiziano il mito non è un evento da ricostruire, ma un’occasione per scatenare giocosamente l’immaginazione avviando una riflessione sull’uomo e sul destino.
Tiziano Vecellio, Baccanale degli Andrii, 1523-1526, Olio su tela, 173 x 193 cm, Madrid, Museo del Prado
A una sensuale ninfa-baccante, con il braccio piegato dietro la testa, si affiancano un putto, due fanciulle e una serie di personaggi. Un uomo sfiora la caviglia di una fanciulla, tuttavia i due sembrano ignorarsi e a prevalere è il momento di spensieratezza e gioia condivisa. Alla sinistra dell’osservatore scorgiamo un uomo grasso, che ricorda Sileno, intento a bere con voluttà da una brocca, mentre il centro del quadro è caratterizzato da un gruppo di figure intente a danzare.
In lontananza si intravedono due uomini intenti a mescere il vino in un grosso cratere, mentre, più in alto, attira lo sguardo un vecchio, che giace nudo, sconvolto dal troppo bere. Evidentemente la riflessione moraleggiante del pittore allude alle conseguenze degli eccessi.
L’Immacolata Concezione di Giambattista Tiepolo
Questo capolavoro di Tiepolo – uno delle sette pale d’altare commissionate nel marzo 1767 dal re di Spagna Carlo III per la chiesa di San Pascual in Aranjuez – rappresenta l’Immacolata Concezione, con la Vergine, circondata da angeli, incoronata con una corona di stelle. La Madonna è raffigurata mentre calpesta un serpente, gesto che allude alla vittoria sul diavolo. Tra i simboli riferiti a Maria, i gigli e le rose, allusioni all’hortus conclusus, mentre la colomba in volo simboleggia lo Spirito Santo.
Giambattista Tiepolo, Immacolata Concezione, 1767-1669, Madrid, Museo del Prado
Il nuovo allestimento del Prado renderà possibile ammirare, in un’unica sala, il Saturno di Goya accanto allo stesso soggetto rappresentato da Rubens.
Racconta il mito che Crono, il più giovane dei Titani, figlio di Urano e di Gea, iniziò a divorare uno a uno i suoi figli allorché gli fu profetizzato che uno dei suoi eredi lo avrebbe privato del potere. Il tema di Saturno che divora i figli era già stato trattato da Rubens, in un quadro omonimo sempre conservato al Prado, dove, in un dipinto convenzionale il pittore fiammingo rappresentava il dio intento a compiere l’atto terribile con un gesto calcolato, carico di freddezza.
Goya, al contrario, dipinge Saturno come un uomo in preda ad una folle foga cannibalesca, con il suo sguardo sconvolto, gli occhi fuori dalle orbite, le mani avide, ad esprimere, come scrive Sgarbi, una «violenza che diventa pura energia del male». Siamo di fronte al quadro più estremo e compiuto del ciclo delle cosiddette Pitture Nere, una serie di quattordici dipinti realizzati dal pittore sulle pareti della propria casa (la Quinta del Sordo), nei pressi Madrid, dove abitò tra il 1819 e il 1823.
Si trattava di opere che non erano state commissionate, né concepite per essere mostrate al pubblico.
Pieter Paul Rubens, Saturno che divora uno dei suoi figli, 1636-1638, Olio su tela, 87 x 182.5 cm, Madrid, Museo del Prado
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