Venezia – Un dipinto che assomiglia a un giallo, disseminato di oggetti, animali, gesti e personaggi dal fare indecifrabile: per due secoli le Due Dame hanno tenuto gli studiosi con il fiato sospeso, impegnati in un rompicapo più che in un’indagine. Unica certezza: la firma “Opus Vjctorijs Cartpathjo veneti”, leggibile a fatica su un cartellino nell’angolo in basso a sinistra della tavola. E poi il fascino del “più bel quadro del mondo”, come lo definì John Ruskin, mentore dei Preraffaelliti e attento studioso dell’arte italiana. “Tutta la potenza di De Hooghe in fatto d’ombre, del Van Eyck nei particolari, di Giorgione nelle masse, di Tiziano nel colore, del Bewick e del Landseer nella rappresentazione animale è qui riunita” scriveva il critico inglese alla fine dell’Ottocento.
Non c’è nulla di chiaro nel capolavoro del Museo Correr. “Qual è il soggetto dipinto, chi sono le donne raffigurate, che cosa fanno, dove si trovano, perché il cane davanti a una di loro è tagliato, perché il fiore nel vaso poggiato alla balaustra è interrotto?”, si chiedeva ancora nel 2011 lo storico dell’arte Giandomenico Romanelli all’inizio di un libro – Le Due Dame, edito da Skira – che avrebbe finalmente fatto luce sull’opera. Circa vent’anni prima, un colpo di scena aveva impresso un’accelerazione alle ricerche: al Jean Paul Getty Museum di Los Angeles era stata ritrovata la seconda parte del quadro, senza la quale sarebbe stato impossibile rispondere alle domande dello studioso.
Vittore Carpaccio, Due dame veneziane (Le Cortigiane), 1490-1495 circa, Tempera e olio su tavola, 94.5 x 63.5 cm, Venezia, Museo Correr | © MUVE – Fondazione Musei Civici di Venezia
Abile narratore, curioso testimone del suo tempo, maestro nel coniugare inventiva e poesia, Vittore Carpaccio ha raccontato lo splendore di Venezia nel Rinascimento trasportando le storie sacre – come il celebre Ciclo di Sant’Orsola – nella vita quotidiana della Serenissima. I suoi quadri ricchi di dettagli vivono in territori sospesi tra realtà e fantasia, tra il rigore della tecnica e l’interesse per la natura, mentre la prospettiva e l’osservazione della luce stanno cambiando i connotati della pittura lagunare. Nuove scoperte, attribuzioni e restauri alimentano oggi un rinnovato interesse intorno alla figura di Carpaccio. Lo testimonia la grande mostra in programma per l’estate 2021 a Palazzo Ducale di Venezia e poi alla National Gallery di Washington, concepita in coproduzione tra i due musei per offrire finalmente al pubblico una prospettiva aggiornata sul Maestro. Ci saranno anche le Due Dame con il loro carico di storie, i loro enigmi e le soluzioni.
Un dipinto dal passato oscuro
L’olio delle Due Dame è datato tra il 1490 e il 1495. Tuttavia la prima notizia che lo riguardi risale al 1830 quando, alla morte del nobile veneziano Teodoro Correr, troviamo il dipinto nell’inventario della sua collezione. È descritto genericamente come una “tavola rappresentante due Donne che scherzano con due cani” e valutato per la cifra irrisoria di 12 lire, senza alcun riferimento a Carpaccio. Secondo la ricostruzione di Romanelli, i documenti sulla storia dell’opera andarono perduti a causa dell’imbarazzo avvertito dai primi responsabili del Museo Correr di fronte ai metodi fraudolenti, “alle estorsioni e alle usure” di un “così munifico mecenate”. Bruciato il passato insieme alle carte di Correr, non resta che interrogare l’opera.
Dettaglio
Chi sono le Due Dame di Carpaccio?
Due donne sono sedute su una piccola terrazza. Indossano abiti raffinati alla moda del tardo Quattrocento e hanno i capelli tinti del famoso “biondo veneziano”, ottenuto con una ricetta segreta e lunghe sedute al sole. La più giovane guarda davanti a sé pensosa, quasi annoiata, e ha in mano un fazzoletto bianco. La più anziana gioca con due cani: quello piccolo, ai suoi piedi, è l’unico personaggio della scena a volgere lo sguardo verso di noi; del più grande, un levriero, scorgiamo solo la testa, mentre è intento a tirare il guinzaglio con i denti. Per molto tempo le dame sono state identificate con una coppia di cortigiane, forse per via degli zoccoli a zeppa alta – i “calcagnini” – abbandonati sul pavimento. Ma allora perché entrambe le signore indossano collane di perle, tradizionalmente riservate alle donne “oneste”? L’analisi degli oggetti e degli animali che Carpaccio ha distribuito nello spazio è pronta a rivelare un nuovo scenario.
Un labirinto di simboli e dettagli
Come Jan van Eyck nel Ritratto dei Coniugi Arnolfini, Carpaccio usa gli oggetti del quotidiano come simboli consegnandoci una sorta di rebus da decifrare. Per lo stesso motivo lo spazio ristretto della terrazza si popola di animali: oltre ai cani, troviamo una coppia di colombe, un pappagallo e una pavoncella. Secondo gli studiosi la scena non sarebbe che un’allegoria della vita matrimoniale. Il fazzoletto bianco della promessa sposa evoca il bonus amor, l’amore legittimo, mentre i cani associati alla donna matura – forse la madre della fanciulla – rappresentano fedeltà e vigilanza. L’arancia e le tortore sono simboli legati alle nozze, così come il mirto sacro a Venere e il giglio, di cui vediamo solo lo stelo, che richiama la castità e il dono ricevuto dalla Madonna nell’episodio dell’Annunciazione. A questo fa riferimento anche il pappagallo, solitamente associato alla Vergine per il suo verso “Ave”, mentre la pavoncella di Giunone è un’immagine di fecondità. Lo stemma di un illustre casato lagunare presente su un vaso conferma infine che siamo di fronte ad una coppia di nobildonne.
Vittore Carpaccio, Caccia in laguna (recto), 1490-1495 circa, Stipo delle lettere (verso), 1490-1495 circa, Olio su tavola, 75.6 x 63.8 cm, Los Angeles, The Jean Paul Getty Museum
Perché il giglio è reciso e la testa del levriero tagliata di netto?
Il primo ad immaginare che la tavola delle Due Dame potesse far parte di un’opera più ampia fu Ludovico Ragghianti nel 1963. Con un’incredibile intuizione, lo studioso toscano vide nello sfondo azzurrino non il cielo, ma “acqua di laguna”, ipotizzando che oltre la balaustra potesse svilupparsi “la scena di una gita da diporto, magari con donne di Carampane in attesa pigra sul terrazzo del ritorno stanco dei cacciatori”.
L’altra metà del mare
Nel giugno del 1944 un giovane architetto appassionato d’arte gira in bicicletta tra i vicoli di Roma, da poco liberata. In Via di Campo Marzio l’antiquario Sebasti lo chiama. Ha da mostrargli “una cosa buffa”. Gli presenta una tavola sporca, quasi illeggibile. Su un verso presenta una scena di caccia in barca, con gli arcieri impegnati a colpire da vicino le teste degli uccelli che spuntano dall’acqua. Sull’altro una curiosa natura morta in trompe-l’oeil, con dei foglietti appesi a un nastro rigato. Andrea Busiri Vici comprende al volo: si tratta di un Carpaccio. Fa restaurare il dipinto, cerca conferme per l’attribuzione, ne ricostruisce la storia. Scopre che la Caccia in laguna ha fatto parte della preziosissima collezione del cardinale Fesch, zio di Napoleone. Il clamore è tale che Camillo Benucci, ultimo proprietario della tavola, intenta una causa al giovane architetto e si riappropria dell’opera, che sparisce dall’Italia per riapparire in una collezione privata svizzera e poi, dal 1972, al Getty Museum di Malibù e di Los Angeles.
Vittore Carpaccio, L’Attesa, 1490-1495 circa, Ricomposizione dell’opera
Un’unica opera: l’Attesa
All’inizio degli anni Novanta le analisi confermano l’ipotesi di Ragghianti: le Due Dame e la Caccia in laguna sono parte di un unico dipinto, che viene ricomposto per la prima volta nel 1999 a Palazzo Grassi in occasione della mostra Il Rinascimento a Venezia e la pittura del Nord ai tempi di Bellini, Dürer, Tiziano. Il significato dell’opera è ormai chiaro: le donne attendono il ritorno degli uomini dal mare. Il momento diventa metafora della vita femminile, dello spazio fisico e mentale della casa, chiuso e appartato, in cui tutto il tempo è dedicato “all’aspettativa che nutre l’amore”, come ha osservato lo storico dell’arte Augusto Gentili.
Che cosa significano le strane incisioni rinvenute sul dipinto?
Sulla parte laterale di entrambe le tavole sono stati ritrovati degli strani segni, simili a quelli delle cerniere di un’armadio. Secondo la studiosa Yvonne Szafran, che nel 1995 ha analizzato i dipinti in occasione del restauro, i pannelli andavano a comporre l’anta di uno studiolo rinascimentale, con le Due Dame e la Caccia in valle ben visibili e la natura morta in trompe-l’oeil sul lato interno del battente. A sostegno dell’ipotesi c’è la somiglianza con altri lavori di Carpaccio, tra cui lo Studiolo di Sant’Agostino conservato alla Scuola Dalmata dei Santi Giorgio e Trifone di Venezia. Ma non è finita. Come testimonia il taglio alla testa del levriero, i pannelli del Museo Correr e del Getty Museum rappresentano probabilmente solo la metà di un armadio a due ante: l’altra parte potrebbe essere andata perduta o essere nascosta in qualche angolo nel mondo, in attesa che un geniale segugio ne fiuti tracce.
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