Ci sono state volte che non abbiamo nemmeno capito quel che faceva, perché grazie al suo talento puro riusciva a tirar fuori gesti sorprendenti, volée in tuffo o Veroniche girato di schiena, come le aveva battezzate il grande Rino Tommasi dopo che era rimasto lì a guardarle, anche lui come noi, senza crederci. Erano mirabilie, perché non c’era mai violenza nei suoi colpi, ma quasi un raffinato dileggio, come i pallonetti irridenti di Francesco Totti, che con Adriano Panatta non ha in comune solo la romanità. Però, di fatto, sono tutt’e due romani e romanisti che più romani non si può, nella grandezza dello scherno e anche nella pigrizia, che in realtà è una meravigliosa filosofia della vita, capace di esaltare l’ozio e il suo sguardo disincantato, seppur sofferente, sull’incomprensibile affannarsi dell’umanità.
Adriano Panatta
Adesso che tutti rendono omaggio ad Adriano Panatta per i suoi 70 anni compiuti oggi, guardatelo bene come li accoglie supinamente, tutti questi complimenti, accettando persino di rievocare memorie e spigolature, senza mai confessare che in realtà a lui «nun gliene frega propio gnente», che 70 sono come 69 o 72. Non lo direbbe mai così. Lo diciamo noi al posto suo, che non abbiamo mai avuto la sua classe. Perché questo è stato Adriano nostro, talento e classe. E’ così che è diventato una icona, con il suo posto nell’Olimpo dei grandi, inventando in quel tennis Anni 70, con il suo tocco morbido e la predilezione per le volée, quasi una scuola ideale fatta di estro ed eleganza, contrapposta al tennis metodico e nordico di Bjorn Borg. Chi ha amato Panatta, ha adorato McEnroe.
Tennista di talento
Solo che oggi il tennis è un’altra cosa, tutto muscoli e bordate da fondo. Nel futuro, per ora ha vinto Borg. Difatti, uno come lui si annoia a morte e se può lascia perdere, a parte Roger Federer. E’ che lui era proprio un’altra cosa. Il suo gioco era caratterizzato da un alto tasso tecnico, basato su un diritto micidiale e su una battuta molto potente, cui aggiungeva la sua capacità di scendere a rete con volée di dritto, rovesci impeccabili e smorzate di grande raffinatezza. Non c’entra niente con lo sport di oggi. Però era un bel vedere, e per questo Panatta ha contribuito in maniera decisiva a far diventare popolare uno sport fino allora considerato un passatempo per pochi. Adesso, a 70 anni, Adriano insegna tennis ai ragazzini, scrive libri con il suo amico Daniele Azzolini, conduce trasmissioni radiofoniche accanto a Claudio Sabelli Fioretti e Nicoletta Simeone, dirige una rivista (Match Point), gira l’Italia con i suoi campioni per amici, Daniele Lucchetta, Yuri Chechi e Bruno Conti, a incontrare i ragazzi delle scuole. Romanista sempre. Sofferente per forza. Ma ha chiuso con la politica.
Testa nobile
È stato consigliere comunale con Rutelli sindaco, di gran lunga il migliore degli ultimi 30 anni, e assessore allo Sport in Provincia. Lo vedremo da Fazio, perché Fabio Fazio lo adora e lui lo sa. Lo sentiremo in qualche intervista sui telegiornali e magari ci racconterà di quella volta che è andato in Cile a vincere a Coppa Davis con gli azzurri, e che ha sfidato Pinochet indossando assieme a Bertolucci, nella partita decisiva alla Estadio National de Santiago, la maglietta rossa, il colore della protesta, dell’opposizione al regime, sventolato dalle donne che scendevano in piazza per riavere indietro i figli e i mariti scomparsi. Ci dirà come è andata, perché la sinistra voleva boicottare la finale in Cile, come aveva fatto l’Unione Sovietica, e il governo Andreotti era molto incerto, tentato più dal no che dal sì. Fu Berlinguer a decidere: «Alla fine disse che non voleva che la Coppa Davis finisse nelle mani di Pinochet. Da lì in poi la strada fu in discesa».
Panatta come Totti
Rivedremo per qualche giorno quello che oggi non si vede più, i capolavori di Adriano nostro. Rinverdiranno il suo palmares, che è pieno anche di sconfitte, come capita a quelli che non sono macchine ma uomini, e per questo li amiamo di più: sedici finali perse contro dieci vinte, il Roland Garros di Parigi, i 15 minuti di applausi tutti in piedi alla finale di Roma, la super Series di Stoccolma battendo in finale Connors, il quarto posto nella classifica mondiale del 1976, le sue rimonte pazzesche come quella contro Kim Warwick, le sue vittorie contro Borg e il sogno sfumato di Wimbledon. Poteva far di più? Forse sì. Ma anche Totti fosse andato al Real Madrid magari vinceva il pallone d’oro. In fondo, la grandezza di Adriano va oltre il suo palmarès. È nella sua classe, nel suo talento, in quello che è stato nello sport.
Lo chiamavano Ascenzietto
Oggi forse gli mancherà tanto suo padre per festeggiare i 70 anni. Quand’era piccolo lo chiamavano Ascenzietto, il figlio di Ascenzio, custode del circolo Parioli. È lì che mosse i primi passi sui campi da tennis. E lui non ha mai dimenticato il giorno che il babbo lo chiamò e gli disse: «Ti ho iscritto al tennis. Cominci domani». Ricorda che fece il broncio. Lui voleva fare nuoto. Ma i bambini qualche volta sbagliano. Non sanno ancora che grande sorpresa è la vita.