Pubblicato il: 16/07/2020 10:20
Nelle acque marine superficiali del Mar Tirreno centrale si riscontra una diffusa presenza di microplastiche, con concentrazioni elevate sia in aree fortemente impattate, come la foce del Tevere e il porto di Olbia, che in zone lontane da fonti inquinanti come l’isola di Capraia. Una contaminazione che non risparmia aree potenzialmente poco impattate come Capraia, anzi: qui è stata registrata la concentrazione più alta, oltre 300mila particelle per chilometro quadrato.
Questo dato è coerente con quanto evidenziato da altre ricerche scientifiche condotte nell’area dove, a causa di una circolazione anticiclonica nota come ‘Capraia Gyre’, può crearsi una zona di accumulo transitoria di microplastiche. E’ quanto emerge dai risultati della ricerca condotta da Greenpeace insieme all’Istituto per lo studio degli impatti antropici e sostenibilità in ambiente marino del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ias) di Genova e all’Università Politecnica delle Marche.
Valori di concentrazione elevati sono stati registrati anche nel porto di Olbia e alla foce del Tevere, con oltre 250 mila particelle per chilometro quadrato, confermando come sia le aree portuali con limitata circolazione che le foci dei fiumi costituiscano zone con elevati livelli di contaminazione da microplastiche.
“I risultati indicano che i frammenti si accumulano anche in zone teoricamente lontane da sorgenti di inquinamento – dichiara Francesca Garaventa, referente per Cnr-Ias della ricerca – Indagini preliminari a differenti profondità nella colonna d’acqua confermano che sono necessarie ulteriori ricerche per comprendere appieno il comportamento delle microplastiche in mare che proveremo a realizzare già nella spedizione di quest’anno”.
Campionamenti effettuati a Ventotene e alla foce del Sarno a diverse profondità e con strumentazioni differenti mostrano variazioni fino a due ordini di grandezza del contenuto di microplastiche, con concentrazioni molto più elevate a 5 metri di profondità rispetto alla superficie. La tipologia più frequente di microplastiche riscontrata è rappresentata da frammenti, tra 1 e 3 millimetri e inferiori al millimetro, costituiti soprattutto dai polimeri in polietilene e polipropilene, ovvero le tipologie di plastica più usate.
Indagini approfondite verranno eseguite durante la spedizione “Difendiamo il mare” di Greenpeace, partita oggi dall’Argentario e che toccherà varie aree del Mar Tirreno centro settentrionale per le prossime settimane, con la partecipazione ancora una volta di ricercatori del Cnr-Ias di Genova e dell’Università Politecnica delle Marche.
“I dati raccolti confermano ancora una volta che il nostro mare è malato a causa dell’inquinamento da plastica. La pandemia che viviamo ci insegna che non c’è più tempo da perdere: dobbiamo vincere la battaglia della plastica monouso e quella invisibile della microplastica. È inaccettabile che ancora oggi siano presenti sul mercato prodotti di uso comune con microplastiche aggiunte il cui destino è contaminare il mare. L’uso di microplastiche aggiunte intenzionalmente deve essere vietato al più presto”, dichiara Giuseppe Ungherese, responsabile campagna inquinamento di Greenpeace.
A livello europeo, l’Agenzia Europea per le Sostanze Chimiche (Echa) sta lavorando a una proposta per vietare l’utilizzo di microplastiche aggiunte intenzionalmente in numerosi prodotti di uso comune tra cui cosmetici, detergenti, vernici e fertilizzanti. Greenpeace ha lanciato una petizione per chiedere al ministro dell’Ambiente di sostenere la proposta dell’Echa sulle microplastiche e migliorala inserendo un divieto anche per l’uso di plastiche liquide, semisolide e/o solubili applicando concretamente il principio di precauzione.
Adnkronos.