Un altro week end da dimenticare per la Ferrari. Ma da qui alla fine ce ne sarà uno – dico almeno uno solo – da salvare? L’ordine di arrivo è già abbastanza umiliante di suo: sesto Vettel e addirittura undicesimo Leclerc, fuori dai punti, a distanze abissali dal trio domimante del Gran Premio di Ungheria, Hamilton, Verstappen e Bottas, primo, secondo e terzo. Ma il peggio sta nel resto: Ferrari doppiate e umiliate tutt’e due, mai in gara, mai competitive nemmeno con le rivali contro cui l’anno scorso riuscivano a battagliare, definitivamente la quinta scuderia della Formula 1 dietro Mercedes, Red Bull, Racing Point e McLaren. Se va bene. Perché se con le Frecce nere e Verstappen il confronto è addirittura impietoso, sono le performance in se delle vetture di Maranello a sconfortarci più di tutto. La SF1000 è andata male in tutte le condizioni e con tutte le mescole.
L’impressione è che non ci sia proprio limite al peggio. E dovrebbe farci meditare il fatto che Leclerc in più circostanze non riuscisse nemmeno ad avvicinarsi alle Haas. Se le cose stanno così, i disastri delle domeniche in F1 sono appena cominciati. Quando il giornalista chiede a Sebastian Vettel che cosa ha pensato nel momento in cui Hamilton l’ha doppiato, e se fosse rimasto sorpreso la risposta è arrivata immediata e secca: «No». Perché? «Perché lo sapevamo già prima della gara che ci avrebbero doppiato». Ecco. Questa è la verità. In una gara normale, senza safety car e senza insperabili colpi di fortuna, questo è il divario che separa le Ferrari dai più forti. E i primi a saperlo sono proprio gli uomini di Maranello.
Non è un caso che l’immagine che dà tutto il senso del fallimento di questa macchina stia appunto nelle inquadrature di Leclerc, il predestinato, il campione, il fuoriclasse, ormai stradoppiato da Mercedes e Red Bull, lanciato all’inseguimento di Kevin Magnussen su Haas per u misero nono posto, senza riuscire a rimontare neanche un decimo, un giro dietro l’altro, su un rivale che non solo avrebbe dovuto avere una vettura inferiore, ma che aveva pure le gomme molto più usurate. Poco per volta invece il distacco è cresciuto, da quattro secondi sono diventati sei, poi dieci, e alla fine Carlos Sainz gli ha soffiato anche la decima posizione, l’ultima in zona punti. Ma non è tanto il terzo consecutivo disastro stagionale a stupirci – da noi ampiamente atteso – quanto le incredibile dichiarazioni di ottimismo prive di qualsiasi fondamento che molti di noi riescono a sbandierare fuori dai box, alla vigilia di ogni Gran Premio. Eppure, fino adesso, non c’è un motivo che sia uno per illuderci. A cominciare dalle tanto decantate innovazioni che la Ferrari aveva apportato alla SF1000 per l’Hungaroring.
Come abbiamo già detto e ripetuto, molti sviluppi non sono previsti quest’anno per via delle regole post Covid, e quindi tutto quello che sono riusciti a cambiare si riduce all’ala posteriore lineare e ai nuovi deviatori. Un po’ troppo poco per trasformare la macchina. L’ala posteriore lineare serviva per avere più carico aerodinamico. Nelle prime due gare la Ferrari aveva usato un’ala a cucchiaio. Nel Gran Premio di Stiria, seconda uscita stagionale, il Cavallino aveva introdotto nuovi deviatori posizionati sotto le bocche dei radiatori, e questa soluzione era stata confermata in Ungheria. L’ala anteriore, invece, è tornata quella del primo Gran Premio d’Austria. Come vedete, alla fine si trattava di pochi interventi che non potevano certo incidere più di tanto sulle prestazioni delle vetture. Questa è la Ferrari di quest’anno. E ce la dobbiamo tenere. Senza illuderci che possa migliorare più di tanto. Forse, a questo punto, a Maranello converrebbe concentrarsi sulla vettura del prossimo anno. Finirà prima o poi questa tortura.