È corsa contro il tempo per ottenere il vaccino anti-Covid. Mentre i numeri globali della pandemia sono in crescita costante e a livello locale si lotta per contenere i nuovi focolai, diventa ogni giorno più chiaro quanto sia importante avere il vaccino in tempi rapidi. Si cercano così nuove strade per ridurre il più possibile i tempi della sperimentazione degli oltre 160 candidati vaccini inseriti nella lista dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), 23 dei quali si stanno sperimentando sull’uomo. Di questi, tre hanno raggiunto la terza e ultima fase dei test, condotta su un grande numero di individui per avere le risposte sull’efficacia e la sicurezza.
Si tratta dei candidati vaccini della cinese Sinovac e dell’università britannica di Oxford, che collabora con AstraZeneca e le cui dosi sperimentali sono prodotte in Italia dall’Irbm. La pubblicazione dei risultati di quest’ultimo vaccino, raccolti durante la fase 1 dei test, è attesa a giorni sulla rivista The Lancet e sembrano confermare che il candidato vaccino è in grado di stimolare una risposta immunitaria significativa. Per il 27 luglio ha annunciato l’avvio della fase 3 Moderna, l’azienda americana che collabora con l’Istituto nazionale per le malattie infettive (Niaid) degli Stati Uniti, che fa parte dei National Institutes of Health (Nih). L’obiettivo è completare entro ottobre i test su 30.000 persone per avere il vaccino all’inizio del 2021, pronto per la commercializzazione.
Si cercano intanto nuove strade per riuscire ad avere il vaccino prima possibile e a livello internazionale si parla con sempre maggiore insistenza di Human Challenge Trial, la sperimentazione nella quale alla somministrazione del vaccino a volontari sani segue l’inoculazione del virus. Su questo tema l’Oms ha pubblicato il 6 maggio un documento in cui traccia le linee guida per ricercatori, comitati etici, finanziatori e politici e fissa i “criteri chiave che dovrebbero essere soddisfatti per rendere simili studi eticamente accettabili”.
A favore di questa via si sono schierati oltre cento ricercatori di tutto il mondo, per la maggior parte di Stati Uniti, Brasile e India, compresi 15 Nobel. Tra questi ultimi l’unico nome italiano è quello del genetista Mario Capecchi, che insegna nell’Università dello Utah e da tempo cittadino americano. Insieme a quasi 33.000 aspiranti volontari hanno firmato una lettera aperta indirizzata al direttore dei Nih, Francis Collins e pubblicata dall’organizzazione ‘1 Day Sooner’. Quest’ultima pubblica sul suo sito la stima delle vite che è possibile salvare accelerando la ricerca sul vaccino: oltre 7.000 con un solo giorno di anticipo, 55.000 con una settimana, 220.000 con un mese e oltre mezzo milione con tre mesi. Un approccio che secondo il fisico Giorgio Parsi, dell’Università Sapienza di Roma, “potrebbe essere utile se l’epidemia fosse a un livello molto basso, ma che non è necessario in una situazione come quella attuale, in cui di malati naturali ce ne sono in grande quantità”.
Prima di procedere su questa strada, infine, “è importante conoscere gli effetti collaterali dell’inoculazione del virus” e poi avere i parametri che permettano di confrontare la carica virale inoculata con quella reale”. Con la legislazione italiana, infine, “sarebbe molto difficile seguire un approccio simile”.