Nelle amministrazioni pubbliche siamo gli ultimi in Europa. Lo dimostra una nuova ricerca. Che raccomanda di assumere almeno un milione di giovani e investire nella loro formazione per rilanciare economia ed efficienza statale
Se lo dicessero i sindacati magari non farebbe notizia e verrebbero accusati di “statalismo”. Ma se è una ricerca pubblicata da un gruppo di autorevoli studiosi a fare i conti in tasca allo Stato italiano e a sostenere che «I dipendenti pubblici in Italia sono troppo pochi, bisogna assumere giovani»… allora anche la politica, l’economia e i media hanno il dovere di ascoltare e di riflettere.
«Continuare a ignorare la necessità di una massiccia espansione dell’occupazione nel settore pubblico sta diventando sempre più pericoloso. La soluzione di alcuni problemi, enormi, che molto dipendono da questa carenza (anche se ovviamente non del tutto) diventa ogni giorno più difficile. Ci riferiamo alla carenza di domanda interna, alla disoccupazione giovanile, e alla inefficienza della pubblica amministrazione». Inizia così lo studio pubblicato pochi giorni dall’ Adapt, l’Associazione per gli studi sul lavoro e le relazioni industriali, fondata nel 2000 dal giuslavorista Marco Biagi, assassinato nel 2002 dalle Brigate Rosse. I firmatari del documento Adapt (Maria Luisa Bianco, Bruno Contini, Nicola Negri, Guido Ortona, Francesco Scacciati, Pietro Terna, Dario Togati) sono tutti economisti e sociologi legati alle Università del Piemonte Orientale e di Torino .
«In Italia l’occupazione nella pubblica amministrazione è anormalmente bassa» sostiene lo studio dell’Adapt. Basta guardare cosa accade negli altri Paesi considerando il numero dei lavoratori pubblici ogni mille abitanti. In Svezia i lavoratori del settore pubblico sono 141 ogni 1000 abitanti. In Francia sono 83 su 1000. In Gran Bretagna 78 su 1000. Negli Usa 71 su 1000. Nella efficientissima Germania 52,5 su 1000. Nel nostro Paese, fanalino di coda, sono appena 48,9 su 1000.
Continuano gli studiosi delle due università piemontesi: «In sostanza, la minore occupazione dell’Italia rispetto ai paesi con cui siamo soliti confrontarci non dipende dalle caratteristiche del mercato del lavoro privato, ma dal sottodimensionamento della produzione di servizi pubblici. Alla luce di questi dati, recuperare il ritardo occupazionale operando sul solo settore privato appare difficilmente praticabile se non utopistico».
Fra i problemi, lo studio denuncia la bassa efficienza della pubblica amministrazione nel suo complesso, l’età avanzata della maggioranza dei lavoratori, e il fatto che l’Italia abbia la minore percentuale di laureati fra i Paesi europei.
«Occorre un piano straordinario di occupazione nel settore pubblico», conclude la ricerca dell’Adapt. Un piano da finanziarsi ricorrendo «a una imposta patrimoniale straordinaria sulla ricchezza finanziaria delle famiglie (e quindi non su quella immobiliare)». Occorre inoltre un piano di svecchiamento (anagrafico e culturale) della pubblica amministrazione. Concretamente, si deve pensare ad almeno un milione di assunzioni di giovani con adeguati titoli di studio, puntando sulla loro formazione e aggiornamento professionale.
La politica ascolterà?