Ex consulente finanziario in Inghilterra, un giorno davanti allo specchio ha capito quale fosse il segreto del suo problema. Ecco come il suo metodo è diventato vincente: “Prima di tutto è una questione di coordinazione motoria”
Da esperto di finanza a esperto di se stesso. Il passo compiuto da Giovanni Muscarà, trentaseienne siciliano di Messina, a un certo punto della sua vita è stato gigantesco perché ne ha cambiato totalmente gli orizzonti. Non stiamo esagerando, credeteci. Anzi, credete direttamente alle sue parole. Eccole.
Giovanni, quando è cambiata la sua vita?
“Quando ho superato il mio problema di balbuzie”.
In quale momento?
“Da quando ho messo a punto il mio metodo per guarire. Chiariamo subito: non sono un medico. Mi sono laureato in Economia Finanziaria alla Cattolica di Milano, poi ho fatto il consulente per molti e sono andato a svolgere il mio lavoro in Inghilterra. Era il 2011. E avevo una forma di balbuzie fortissima”.
Tanto da condizionarla anche sul lavoro?
“Sempre. Ma non era solo un problema di parole, era un problema fisico. La balbuzie mi colpiva al volto, alla testa”.
In che senso?
“Che gli spasmi mi deformavano il corpo, le espressioni del viso, il collo. Era una guerra tra la mia volontà di portare fuori la voce e gli ostacoli che il mio stesso fisico metteva sulla strada di una normale comunicazione”.
E lei come reagiva a questi sintomi?
“L’istinto era quella di far prevalere la rabbia. La balbuzie in realtà nasce sempre da una risposta individuale. Non si manifesta allo stesso modo. Le persone più pacate, quelle che ci tengono maggiormente a far bella figura, tendono a starsene in silenzio per non peggiorare le cose. Si fanno da parte”.
Lei invece ha accettato la sfida?
“Io sono sempre stato un impulsivo, più balbettavo e più mi arrabbiavo. Dover sostenere un’interrogazione equivaleva a correre una mezza maratona per me. Sudavo e mi stancavo. Mi arrabbiavo. E peggioravo le cose, certo. Fin dall’inizio è stato così. Ricordo il mio primo giorno di scuola, la compagna di banco Eliana. Io cercai di chiederle come si chiamasse ma inciampai già sulla prima parola. E provando disperatamente a superarla mi misi a ripetere: co… co… co… Lei mi liquidò subito: ma chi sei, una gallina? Mi disse”.
Da quel momento fu tutto ancora più difficile?
“Fu per me chiaro che parlare significava soffrire, provare dolore. E andò così per tutti gli anni della scuola. Un altro ricordo limpido è al Ginnasio. Prima interrogazione. Ho davanti a me l’immagine di tutti i miei compagni di classe sdraiati dalle risate e la professoressa che guardava a terra nel tentativo di non scoppiare a ridere assieme a loro”.
Un problema devastante.
“Sì, ha detto bene: devastante. Invece nella nostra cultura – pensiamo anche al cinema – la balbuzie è rappresentata come qualcosa di simpatico, che fa sorridere. Ma per chi ne soffre è proprio devastante. Se sei un po’ fragile e non resisti, quando sei giovane magari smetti anche di studiare perché non puoi più reggere il confronto con gli altri ragazzi a scuola”.
Come ha cercato di uscire da questo problema?
“All’inizio seguendo l’approccio classico, come per tutti: mi hanno portato dal logopedista, poi dallo psicologo. A fare corsi, a imparare tecniche bizzarre. Ad esempio con il canto, per allungare i suoni delle parole. Figuriamoci l’impatto con la realtà. Immaginatevi un balbuziente che improvvisa una melodia per parlare. No, è stato tutto difficile. Se dovevo vedermi con una ragazzina, prima bevevo tre birre per farmi coraggio e dimenticare il mio problema. Cercavo di cambiare qualcosa. Di non essere quello che ero. Invece no, a un certo punto mi sono reso conto che dovevo essere me stesso. Mi guardavo allo specchio mentre cercavo di parlare, vedevo i suoni che uscivano contro la volontà del corpo. È stato quello il momento della svolta”.
Che cosa ha capito?
“Che il corpo andava per conto suo. Che dovevo fare attenzione al controllo motorio. Ho contattato i migliori fisioterapisti, poi i neurologi. E questo è lo stesso percorso che abbiamo adottato con la nostra Vivavoce. E funziona: facciamo fare test semplicissimi come ad esempio ordinare un caffè. E non lavoriamo principalmente sulla voce ma sull’atto motorio, su labbra, lingua, mandibola, diaframma, tronco. Sui movimenti. Parlare è coordinazione di movimenti e suoni, nel suo insieme”.
Dunque si combatte la balbuzie nell’evidenza del problema, non come conseguenza di presunti traumi?
“È stato per tanto tempo l’approccio sbagliato. Per anni ci siamo sentiti dire che questa patologia era la conseguenza di eventi traumatici subiti in età infantile. Luoghi comuni. La scienza invece dice, da una decina d’anni a questa parte, che non si tratta di un blocco emotivo, quello è la conseguenza. Fondamentalmente la causa è nell’ereditarietà, forse in un gene specifico. Due pazienti su tre hanno un parente che ha sofferto dello stesso problema”.
Quanto dura uno dei vostri corsi per guarire dalla balbuzie?
“All’inizio una settimana. Una full immersion, una specie di bombardamento mentale… Proponiamo nuovi schemi motori, modifichiamo le abitudini, ma poi seguiamo i pazienti per mesi, anche online. Li aiutiamo ad andare avanti da soli, consapevolmente, allenati a gestire i movimenti. E a superare lo stress. Secondo un metodo scientifico, ideato assieme a specialisti qualificati con il supporto anche di ex allievi che magari diventano a loro volta formatori. Ah, e si paga solo alla fine, a risultato raggiunto”.
A proposito, Giovanni ha – come si dice – la parlantina sciolta.