DÜSSELDORF – La coppia più bella del mondo, o quanto meno d’Europa, ha i numeri della sua parte, e cos’altro c’è oltre ai numeri quando una carriera viene scandita dalla contabilità dei gol? Con i quattro di ieri, equamente distribuiti (i due si sono anche scambiati un assist), Romelu Lukaku e Lautaro Martinez sono diventati il tandem d’attaccanti più prolifico del continente, con 54 reti in due, 33 il belga e 21 l’argentino. Hanno scalzato Messi e Suarez, mestamente fermi a 52 e non più in grado di aggiornare i loro dati, vista la maniera barbina in cui sono stati sbattuti fuori dalla Champions. Sembra quasi un passaggio di testimone, un cambio d’epoca come quelli che nel calcio capitano ogni 4-5 anni ma che la straordinaria longevità tecnica di Messi e Ronaldo ha dilatato oltre ai dieci. È da un po’ che c’erano avvisaglie di un cambio generazionale globale e, forse adesso siamo arrivati al completamento definitivo, anche se i due dell’Inter ancora non possono ambire, per qualità e valori assoluti, al ristretto circolo dei migliori 4-5 attaccanti in circolazione. Però ci stanno arrivando. Hanno i numeri e l’età dalla loro.
Una coppia nell’era dei tridenti
La vera eversione di Conte è aver formato una coppia quando in giro non ce ne sono quasi più. Quasi tutti hanno dei tridenti, la stragrande maggioranza gioca con una sola punta centrale cui affiancare ali o trequartisti, formando moduli che spaziano dal 4-3-3 (o dal 3-4-3) al 4-2-3-1. Nella final eight di Champions e tra le quattro semifinaliste di Europa League, solamente il Lione aveva due attaccanti d’area, ma guarda caso Garcia ha applicato lo stesso modulo di Conte (3-5-2) che in tutta evidenza ha approfondito nel corso delle sue stagioni italiane, quando proprio al 3-5-2 di Conte, all’epoca juventino, aveva dovuto inchinarsi. Ma è chiaro che la coppia lionese (Depay più uno tra Toko Ekambi e Dembélé) non ha niente a che vedere, per spessore e qualità, con quella interista, con questo strano caso raro in controtendenza con il calcio che va per la maggiore e dove il bottino è generalmente suddiviso su almeno tre elementi, ferma restando la prevalenza dell’attaccante centrale, del “9”.
Il grosso e il piccolino
I due dell’Inter sono attaccanti veri e somigliano ai gemelli di una volta: il grosso e il piccolino, l’elefante e la farfalla, quello che travolge e quello che punge, quello che sfonda e quello che aggira, anche se poi in questa coppia ci sono anomalie evidenti, perché per esempio Lukaku è gigantesco ma non è affatto efficace nel gioco aereo, al contrario di Lautaro che non è una pertica ma ha elasticità, stacco e tempismo, come si è visto nel gol che schiuso la semifinale con lo Shakhtar. Non è dunque un caso che l’Inter sia la squadra che in questa stagione ha segnato il maggior numero di gol di testa (25, più dei 24 dell’Eintracht e dei 23 del Liverpool), segno che Conte sta sapendo sfruttare benissimo le doti di ogni suo saltatore, dai difensori (di testa bravi tutti) a mediani di fisico come Gagliardini. Tornando agli strani gemelli interisti, un’altra anomalia è che spesso è il grosso a lasciare il centro area al piccolo: un meccanismo non canonico e quindi evidentemente destabilizzate per le difese. I due si trovano a meraviglia, si piacciono come persone, più che un’intesa hanno delle affinità elettive: grazie a questo, sanno essere generosi uno con l’altro.
L’insistenza di Conte per Lukaku
I vecchi maestri sostenevano che il bravo allenatore dovesse fare una cosa, prima di tutte le altre: capire in quale modo gli attaccanti preferissero essere innescati e agire di conseguenza, anziché irregimentarli in schemi standardizzati, imbastiti a prescindere. Conte ha scelto una via di mezzo: ha senz’altro adeguato l’Inter alle punte, ma in partenza ne ha scelta una (Lautaro già c’era) che fosse adeguata alle sue idee, insistendo fino all’esasperazione per avere Lukaku e facendolo pagare a Marotta probabilmente di più di quanto in quel momento valesse (65 milioni più 10 di bonus): ma aveva un’idea chiara in testa (e quell’idea la sta pagando Eriksen, giudicato incompatibile con questo piano tattico) e l’ha ostinatamente perseguita, anche se nei piani la coppia avrebbe dovuto essere con Dzeko, che però non è arrivato. È probabile che all’inizio Conte sottostimasse Lautaro, che dopo tutto non veniva da una stagione sfolgorante e a cui sulla carta preferiva Sanchez (in teoria, perché in pratica il Nino Maravilla è stato sempre rotto). Ma conoscendolo da vicino, ha capito di potersi fidare. E alla Juve si mangiano le mani: più di una volta, in queste settimane, a Torino hanno pensato con rimpianto a come sarebbe andata la stagione se al fianco di Ronaldo ci fosse stato Lukaku, se Dybala non si fosse opposto allo scambio rifiutando di andare al Manchester United.
Le sirene del Barcellona
La coppia interista non ha però funzionato sempre, a dire il vero. Prima di debordare in questa fase finale dell’Europa League, Lukaku s’è spesso incartato nelle partite importanti. In particolare, è stato nullo nelle due contro la Juve, quelle che in definitiva sono costate lo scudetto all’Inter. Lautaro ha avuto alti e bassi, è partito fortissimo e poi si è appannato lungamente. A un certo punto la sua voglia di Barcellona era talmente urgente, talmente coinvolgente, che il suo rendimento è precipitato e sembrava avesse la testa altrove: l’ha rimessa in sintonia quando dalla Catalogna i segnali si sono affievoliti (e adesso si sono interrotti del tutto, visto che il Barça è in pieno tumulto e l’acquisto di un attaccante è l’ultima delle priorità) e di conseguenza la sua resa è tornata altissima.
Il tempo davanti
Lukaku gioca ad alti livelli da una vita, ma ha solo 27 anni. Lautaro ne farà 23 sabato, a finale appena giocata, ma nella nazionale argentina ha già segnato il quadruplo dei gol (9 a 2) del celebratissimo e già maturo Dybala, che oltretutto è entrato nel giro albiceleste molto prima, tant’è che già avuto il modo di fallire un Mondiale. Significa che Lukaku e Lautaro hanno ancora molto tempo davanti, e chissà che non siano loro a lanciare una moda e che non si ritorni così all’epoca d’oro dei gemelli, quella dagli anni 70 ai 90. In fondo, il calcio non inventa, il calcio ricicla idee. Conte si è stagliato perché è l’unico che sta riciclando queste.
Fonte www.repubblica.it