Sono stati 81 anni in cui dolore, vittorie, rabbia e riscatto si sono costantemente rincorsi, come avversari in una battaglia sul ring di quelle senza appello, come piacevano a lui. Sono stati ottantuno anni di rara intensità quelli vissuti da Sandro Mazzinghi, uno dei più grandi pugili italiani di tutti i tempi. Mazzinghi se ne è andato a Pontedera, in punta di piedi, senza quei riflettori che non aveva mai amato troppo. Riportare la sua figura pugilistica solo alla rivalità con Nino Benvenuti, sarebbe non rendere merito ad una vita ed una carriera che ha vissuto molto, molto altro. Però nell’immaginario collettivo di un’Italia amante dei dualismi, quei due erano perfetti. Sandro l’antidivo, schivo, toscanaccio, sempre pronto alla polemica. Nino il divo. Bello, mediatico, insieme a Gigi Riva probabilmente il massimo sex simbol dello sport italiano degli anni sessanta. Sandro e Nino: lontani che più lontano non si può.
Era da poco finita l’era dei Coppi e Bartali, Mazzola e Rivera erano due giovani già affermati ma in nazionale non facevano ancora la staffetta. Toccava alla boxe colmare il vuoto. Mazzinghi era il campione del mondo dei superwelter, aveva dato due lezioni di boxe a Ralph Dupas: la prima al Vigorelli di Milano, la seconda allo stadio di Sydney. Benvenuti era il predestinato, l’oro olimpico che aveva messo in serie il titolo italiano ed europeo ed aspettava solo di arrivare in cima al mondo. Nessun punto di contatto? Sbagliato, ce ne sono almeno due. La passione per la musica: Mazzinghi scrive due brani di buon successo, Benvenuti si esibisce in tv con un altro grande avversario come Emil Griffith. E poi i libri: sia l’uno che l’altro ne scrivono, e con vite del genere gli spunti non gli mancano…
Nel primo match, un montante destro di assoluta bellezza di Nino chiuse i giochi al sesto round. Niente però in confronto al colpo da ko che la vita aveva assestato a Mazzinghi: aveva perso la prima moglie in un incidente nel quale anch’egli era rimasto gravemente ferito. La rivincita si disputò a Roma a pochi giorni dal Natale del 1965. Intorno al ring, un po’ come succede ancora oggi negli Stati Uniti, c’era tutto il mondo dello spettacolo. Walter Chiari, Mina, Delia Scala, Aldo Fabrizi e tanti altri. Vinse di nuovo Benvenuti, soffrendo, ai punti. Mazzinghi però quel verdetto non lo accetterà mai. Cinquanta anni di polemiche da toscanaccio, poi la riappacificazione. Benvenuti a dire il vero più volte è il più ‘tenero’ manda messaggi di pace, ed alla fine, proprio quando Nino è ricoverato dopo un malore, arriva la telefonata di Mazzighi. Prossimamente i due dovevano essere protagonisti di un documentario sulla loro rivalità, ma il destino non ha voluto. “Sul ring Sandro era un guerriero – dice ancora -, ti metteva paura, lo guardavi negli occhi e capivi che per lui c’era solo il volerti sopraffare, voleva vincere a tutti i costi. E per batterlo dovevi dare veramente qualcosa in più”, ricorda Benvenuti. “Per parlare di Sandro Mazzinghi bisogna trovare le parole migliori. Ci siamo battuti, sono sempre state battaglie dure, ma l’ho sempre rispettato e ora lo ricordo con affetto. La nostra è stata una rivalità come quella fra Coppi e Bartali, abbiamo diviso l’Italia dello sport”.
Ma come abbiamo detto, Mazzinghi va oltre Benvenuti. La sofferenza in una infanzia in cui la guerra aveva minato fisico e coscienza, la capacità di reagire che ormai faceva parte del suo Dna, gli servono per ricostruirsi una carriera. Dopo le due sconfitte ci mette tre anni, ma riesce a tornare campione del mondo. Allo stadio San Siro, battendo davanti a quarantamila spettatori il coreano Ki Soo Kim, uno che in precedenza aveva battuto proprio Benvenuti. Si tratta di uno dei match più duri mai combattuti in Italia. Il titolo, una nuova famiglia, la testardaggine di voler tornare sul ring a quasi 40 anni tra il ’77 e il ’78 per tre match senza troppo valore tecnico che però lui vince. Restava solo quel cruccio, quel Nino, quella sconfitta mai accettata. Poi una telefonata a chiudere il cerchio. Addio grande guerriero.
Fonte www.repubblica.it