Il virus è ancora tra noi. ma nella Sanità c’è chi affronta già l’emergenza post-Covid, mettendo a punto un modello di presa in carico dei pazienti, che, passata l’infezione, rischiano di subire danni ai polmoni, ma anche a cuore, reni e cervello. Una formula non solo per i «reduci» del Covid, ma per smaltire gli 11 milioni di visite e accertamenti saltati con il lockdown.
L’idea, già adottata da Liguria e Toscana ma che il ministero della Salute è orientato ad adottare, è apparentemente semplice: istituire dei day hospital non solo terapeutici ma diagnostici, che grazie all’apporto multidisciplinare segua nel tempo i pazienti passati per il Covid. Il tutto con esenzione dal ticket e adottando la più snella lista di attesa intraospedaliera.
A mettere a punto il modello sono stati i medici internisti della società scientifica Fadoi: l’hanno visto adottare, per prima, dalla Asl 2 del Savonese. Un’indagine della stessa federazione mostra come la medicina interna sia stata in prima fila nella gestione dell’emergenza, con quasi il 70% dei ricoveri Covid nei propri reparti. Ed è l’esperienza sul campo, insieme con gli studi internazionali, ad aver mostrato come i pazienti sopravvissuti al virus continuassero ad avere problemi polmonari che diventano cronici nel 30% dei casi e danni permanenti estesi ad altri organi.
Da qui il sistema di controllo multidisciplinare messo a punto dagli internisti. A spiegarlo è Paola Gnerre, dirigente della medicina interna 2 dell’ospedale San Paolo di Savona dove tutto è nato, grazie all’apporto del direttore del dipartimento di medicina della Asl 2, Rodolfo Tassara, e fatto proprio da una delibera della Liguria. In regime di day hospital ogni 3-6-12 e 24 mesi verranno rilevati i parametri vitali, come frequenza cardiaca e respiratoria, pressione arteriosa e livello di saturazione del sangue. Con la stessa frequenza il paziente sarà sottoposto ad elettrocardiogramma, a spirometria per controllare lo stato dei polmoni e ad analisi del sangue per verificare emocromo, funzionalità renale ed eventuali stati infiammatori. I medesimi intervalli intercorrono per verificare la massa grassa corporea, eseguire un «walking test» e fare il punto sulla qualità della vita del paziente.
«Attraverso tutto questo – spiega Gnerre – abbiamo già individuato un 30% di pazienti che necessita di un’ulteriore valutazione psicologica». A uno e due anni di distanza sono poi previsti ecocardiogramma, emogasanalisi del sangue arterioso e Tac al torace o angio-Tac. «Uno schema – aggiunge – che si richiama al progetto avviato nel 2012 a Savona per la presa in carico dei malati cronici con scompenso cardiaco e che soffrono anche di diabete o cardiopatia ischemica e che richiedono un approccio multispecialistico». I risultati sono stati la riduzione del 15% dei ricoveri, associata a taglio dei tempi di attesa. Per questo gli internisti vogliono esportare il modello. «L’esperienza maturata – spiega Dario Manfellotto, presidente della Fadoi – ha messo in discussione l’organizzazione ospedaliera basata su reparti separati, favorendo l’approccio multispecialistico. Una logica efficace per una malattia sistemica come il Covid-19 e che può esserlo altrettanto per quell’emergenza permanente che è la policronicità». La palla passa ora a ministero e Regioni. Alcune l’hanno già afferrata. —
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