BARCELLONA – Aspettando la versione del diretto interessato, l’affaire Lionel Messi è diventato trending topic e non solo su Twitter. Se in Catalogna il dramma è reale, palpabile e, per certi versi, già in fase di difficile digestione, nel resto di Spagna la tragedia è incipiente e si manifesterà in tutta la sua potenza quando anche le altre società della Liga pagheranno sulla propria pelle i danni strutturali che la Primera división, e il sistema calcio in generale, sarà costretta a subire quando si ritroverà orfana, dopo Cristiano Ronaldo, anche dell’altro astro che, negli ultimi 15 anni, ha illuminato il calcio mondiale. Un danno economico incalcolabile al quale in molti, anche fuori da Barcellona, non erano pronti ad affrontare. Men che meno Javier Tebas, il caudillo della lega calcio spagnola, che, negli ultimi cinque anni, non ha fatto prigionieri – risanando a base di sudore e sangue le casse dei club di Primera e Segunda obbligati, altresì, a onorare i debiti accumulati con l’Agenzia delle Entrate – con l’unico obiettivo di rendere sostenibile un sistema marcio dentro e misurarsi alla pari, in quanto a fatturato, alla Premier League.
Una rincorsa brillante che, tuttavia, potrebbe essere stoppata e respinta indietro di qualche casella dal trasferimento, sempre più probabile, della Pulga a Manchester, sponda City, dove ritroverebbe il più audace dei propri mentori e il più fedele dei propri amici. La presenza di Pep Guardiola e Sergio Agüero non sarebbe, però, sufficiente a realizzare il sogno di Liam Gallagher e, più in generale, della metà skyblue della città degli Oasis. Non contenti di aver vinto, più o meno polemicamente, la propria battaglia contro il Fair play economico della Uefa, i citizens hanno fatto sapere di avere a propria disposizione un tesoretto da 300 milioni di euro da investire, se necessario, in quella che, in teoria, avrebbe dovuto essere l’estate più austera degli ultimi lustri. Una dimostrazione di forza, eccessiva e pacchiana, che mette in “cattivissima” luce tutto il resto dei dirigenti dei top team europei, impegnati a ripetere come un mantra che il dissesto provocato dall’emergenza coronavirus ha lasciato in eredità ai propri club un piccolissimo margine di manovra che, al massimo, permetterà qualche iniezione di botolino alle proprie rose, in attesa di potersi di nuovo pagare un’operazione di lifting in piena regola.
Una posizione di austerità chiara, espressa in maniera netta presa sia dal Paris Saint Germain – che si è subito tirato fuori dalla corsa alla pulce – che dall’Inter. La società nerazzurra, dopo aver confermato Antonio Conte, ha fatto capire ai propri tifosi che il piccolissimo margine di manovra è davvero tale. Il popolo interista, però, continua a sognare e, per la ragione inversa a quella che deprimerà la Liga, è tutta la Serie A a sperare in un secondo colpaccio, dopo quello a tinte bianconere dell’estate di due anni fa, che restituirebbe il campionato italiano a una galassia conosciuta, quella a cui aveva abituato i propri tifosi negli anni Ottanta e (per buona parte dei) Novanta. Tutto dipenderà da come andrà a finire il braccio di ferro tra gli avvocati di Messi, che pretende di abbandonare gratis il Camp Nou in virtù dell’oramai famosa clausola 24, e quelli del Barcellona, convinti che l’unica clausola vigente sia quella che fissa il suo prezzo d’uscita a quota 700 milioni, in quanto il termine ultimo per andare via a parametro zero da prendere in considerazione sarebbe quello specificato a chiare lettere nel contratto del crack rosarino, ossia il 10 giugno, e non il concetto liquido – sebbene, per certi versi, logico – che vorrebbe far prevalere l’argentino, ossia “entro dieci giorni dalla fine della stagione”.
Dopo lo sgomento delle prime ore, Barcellona si sta abituando all’idea che l’addio di Lionel Messi non avrà nulla a che vedere con quello di Francesco Totti che rimarrà ancora, per qualche tempo, l’utimo grande one club man. L’obiettivo di tutto il barcelonismo diventa, a questo punto, quello di evitare, quantomeno, la battaglia legale. Ma non sarà semplice, a meno che Bartomeu non decida di darsi per vinto e conceda al calciatore più importante della storia blaugrana il via libera. Un’ipotesi caldeggiata, oggi, anche da chi credeva, ieri, che il Barça avrebbe dovuto fare di tutto per farlo restare: “Se ha deciso, dovremmo lasciarlo andar via gratis perché se l’è guadagnato”. Un trattamento riservato a Xavi e Iniesta che, però, a differenza di Messi sono andati a svernare in Qatar e Giappone e, quindi, non in un rivale diretto del Barça in Champions League. La verità, tuttavia, è che el diez non solo ha deciso, ma la sua presa di posizione non contempla dietrofront alcuno. Soltanto nel caso in cui il Barcellona s’imputasse sui 700 milioni con il placet del Tas di Losanna, la Pulga sarebbe costretta a restare. Uno scenario estremo che, nessuno prende in considerazione. Nemmeno Bartomeu che, per dirla tutta, si accontenterebbe di una cifra vicina ai 150 milioni che, sommata ai 100 del suo ingaggio che la società catalana si risparmierebbe, lo aiuterebbero, e non poco, a coprire il buco creato dal Covid-19 e da una gestione sportiva scellerata che non è mai riuscita a superare lo shock provocato da un altro addio, quello di Neymar, spendendo male il triplo dei 222 milioni incassati dal Psg. Questa volta lo sceicco in questione ha un accento vagamente inglese. Senza colpi di scena, Messi finirà al City. L’Inter, dalla sua, oltre ad avere il piccolissimo margine di manovra ha un asso nella manica: quel Lautaro Martínez che, già dallo scorso gennaio, è l’obiettivo principale del mercato blaugrana. Un asso che, però, se non verrà giocato subito potrebbe rimanere in mano.
Fonte www.repubblica.it