La citazione più famosa che lo riguarda, erroneamente attribuita a Claudio Ranieri, è in realtà dell’ex nazionale inglese Gary Lineker: “Il 70%
della Terra è coperto da acqua, il resto da N’Golo Kanté”, ha detto in tv ormai tre anni fa. Il francese è ovunque. Lo mostra in modo plastico il grafico delle zone di campo che occupa nel corso di una partita: pressoché tutte. Lo certifica oltre ogni ragionevole dubbio la statistica, aggiornata da Opta, dei chilometri percorsi. Da quando è arrivato in Premier League – correva l’anno 2015 – ha corso in media 460 chilometri a stagione. Più di dieci maratone. O tutta la A4 Torino-Venezia, per trovare un esempio italiano. Ed ecco perché Antonio Conte, che lo ha allenato al Chelsea, lo vorrebbe ora così fortemente all’Inter. “Con Kanté ti sembra sempre di giocare con un uomo in più”, diceva di lui ai tempi di Londra.
Claudio Ranieri, che lo allenò nel Leicester dei miracoli, non avrà pronunciato per primo la frase del settanta per cento d’acqua sulla Terra. Ma in riferimento al parigino di origini malesi ne ha detta un’altra degna di nota: “Un giorno lo vedrò crossare e subito dopo andare a far gol di testa”. E dire che Don Claudio all’inizio non lo voleva. Troppo basso, troppo leggero, “non da premier”. A convincere l’italiano fu lo scout Steve Walsh, uno che in carriera ne ha indovinate parecchie: “Mr Ranieri, non esistono i giocatori da Premier. Esistono i giocatori forti. Kanté è forte”. Er Fettina, come chiamavano da ragazzo Ranieri a Roma per via del padre macellaio, si fidò. Quando arrivò, lo mise davanti alla difesa. Fu la scelta tattica che, più di ogni altra, portò il Leicester al titolo degli 81 punti, dieci in più dell’Arsenal secondo.
Se per Ranieri Kanté non era da Premier, per almeno sei allenatori che lo valutarono alle giovanili del Boulogne fra il 2010 e il 2012 – quindi già ventenne – non era nemmeno adatto a giocare a calcio da professionista. Vecchia storia: 167 centimetri di altezza (poi rettificati a 168) per nemmeno 70 chili di peso. Quello lo sposti solo a guardarlo, si saranno detti i selezionatori che uno dopo l’altro l’hanno scartato. Ed è per questo che Kanté aveva già 23 anni quando il Caen lo arruolò in Ligue 2, la Serie B francese. Il ragazzo trascinò la squadra fino alla promozione, l’anno dopo in Ligue 1 segnò due gol nelle prime tre partite. A fine stagione arrivò in Normandia l’osservatore Walsh con 9 milioni per il club francese e un biglietto aereo per il capoluogo del Leicestershire.
Tutto quello che segue è storia. Kanté, insieme a Cantona, è l’unico giocatore ad avere vinto per due stagioni consecutive la Premier League con club diversi. Prima al Leicester poi al Chelsea. Prima con Ranieri, poi con Conte. Con la gloria sono arrivati anche gli obblighi. Anzitutto, quello di comprarsi la prima automobile della sua vita, visto che arrivare in monopattino agli allenamenti – gli spiegarono con calma – poteva essere pericoloso. In concessionaria scelse una Mini color panna e se l’è tenuta almeno fino a tutto il 2018. “È bella, funziona, non mi serve di più”, rispose fuori dal centro d’allenamento a un tifoso dei Blues che, basito, gli chiedeva come mai non avesse una supercar come tutti i compagni di squadra.
Quello su cui Kanté non ha risparmiato sono gli aiuti alla famiglia d’origine, quando ha potuto permetterselo. Primo di otto fra fratelli e sorelle, N’Ngolo perse il padre prima di avere compiuto dodici anni. Per dare una mano alla madre, che lavorava in un’impresa di pulizie, già da piccolo batteva i sobborghi parigini in cerca di rifiuti da portare ai rottamai: vecchi infissi, lattine, cartoni integri. Leggenda vuole che la mattina del 13 luglio 1998, l’indomani della finale dei Mondiali di Francia, percorse gli Champs Elysees per raccogliere quello che nella notte la folla in festa aveva buttato. Vent’anni e due giorni dopo, Kanté era in campo allo stadio Luzniki di Mosca, con indosso la maglia blu, a giocarsi il Mondiale contro la Croazia. Vinta la partita, fu l’unico a non toccare nemmeno la coppa. Troppa timidezza. Troppo rispetto. Fu Giroud ad accorgersene e a mettergliela fra le mani. Kanté, anziché alzarla al cielo, si inginocchiò al cospetto del globo dorato, un gesto immortalato in mille foto. “È uno dei migliori ragazzi che abbia mai conosciuto”, dice Conte. Quello di Kanté è il primo nome che l’ex ct ha fatto quando i dirigenti nerazzurri, dopo la pace fatta, gli hanno chiesto chi fosse il giocatore giusto per far fare il salto di qualità all’Inter.
Fonte www.repubblica.it