FIRENZE – Ricorrerà per bizzarra coincidenza venerdì 4 settembre, la sera di Italia-Bosnia a Firenze, il sesto anniversario del primo gol di Immobile in Nazionale, al debutto di Conte ct. L’allora attaccante del Borussia Dortmund lo segnò all’Olanda a Bari, al debutto di Conte ct, scattando leggero su chilometrico lancio di Bonucci, e pareva l’inizio di una pioggia di reti. Invece Immobile ha sì continuato a fare benissimo il suo mestiere nei club in cui ha giocato, al punto da essersi appena meritato con la Lazio la Scarpa d’oro destinata al migliore cannoniere d’Europa – cioè sostanzialmente del mondo – però in maglia azzurra ha aggiunto a quella prima firma soltanto altri nove autografi in sei anni: per il secondo servì addirittura un’attesa biennale. Anche se settembre è statisticamente per lui il mese più felice in Nazionale (4 gol su 10 in 39 presenze), l’incongruenza tra il rendimento con la propria squadra e con la squadra di tutti gli italiani è evidente. La ammette per primo il diretto interessato, aggiungendo tuttavia che la recente laurea di massimo goleador, a 30 anni, può rappresentare la classica svolta: non si sta per caso davanti a Lewandowski, Cristiano Ronaldo, Messi, Lukaku e compagnia segnante: “Ho visto la finale di Champions e ho pensato che il Pallone d’oro, se non lo avessero annullato, quest’anno l’avrebbe vinto Lewandowski. Avere fatto più gol di lui dice tutto”. Con questa consapevolezza si prepara a inseguire un obiettivo che sembrerebbe consequenziale alla premessa e invece non lo è: il posto di centravanti titolare in Nazionale. Mancini ha finora costruito l’eccellente ripartenza dal disastro del Mondiale mancato su tre pilastri: Donnarumma in porta, Bonucci in difesa e Jorginho a centrocampo. La famosa dorsale di ogni squadra non si è però ancora completata, in attacco, con la scelta del centravanti, ruolo in cui prosegue il ballottaggio, che in queste ore di preparazione alla partita con la Bosnia pare vedere favorito Belotti.
Il dilemma di Mancini
Per nulla turbato dalla prospettiva, un po’ perché la sua solidissima amicizia con Belotti non può certo crollare per la rivalità sportiva e molto perché sa bene che se non dovesse giocare con la Bosnia giocherebbe comunque lunedì prossimo ad Amsterdam con l’Olanda, il fresco laureato non ha semmai nascosto il disappunto per la scarsa partecipazione collettiva dei tifosi italiani alla conquista della Scarpa d’oro. Che non è in effetti un premio qualsiasi: lontani gli anni Settanta in cui poteva vincerlo il carneade cipriota Kaiafas dell’Omonia Nicosia e gli anni Ottanta in cui il dittatore romeno Ceausescu intimava ai calciatori del campionato di fare segnare il centravanti della Dinamo Bucarest Camataru per dare lustro al Paese, oggi i calcoli ponderati sul valore dei vari campionato non consentono più intrusioni sospette nell’albo d’oro. Immobile è il terzo italiano a comparire tra gli eletti, dopo Toni e Totti, e l’elenco dei suoi predecessori, da Eusebio a Gerd Müller, da Van Basten a Ronaldo il Fenomeno, da Cristiano Ronaldo a Messi, rende comprensibile quel pizzico di amarezza: gli italiani dovrebbero essere più orgogliosi di me, è la sintesi del discorso. L’altra cosa che dice Immobile è ancora più concreta: prima o poi Mancini dovrà decidere chi è il titolare e comunque lo dovrà decidere prima dell’Europeo, dove, come il ct aveva del resto preannunciato, servirà una gerarchia.
Un duello fino all’Europeo
Anche Belotti si è detto cosciente del fatto che il ballottaggio non potrà proseguire all’infinito. Ma nel ricordare che l’amicizia col suo compagno di stanza è particolarmente rara, nel mondo del calcio non sempre avvezzo alla sincerità dei rapporti interpersonali, il centravanti del Torino si è a sua volta dichiarato convinto di potere diventare lui il titolare. Il suo curriculum in Nazionale, a 26 anni, è buono: non tale, però, da metterlo in testa alla corsa, visto che dei suoi 9 gol in 29 presenze 5 li ha segnati al Liechtenstein. Prosegue dunque il duello tra compagni-amici provvisti, tra l’altro, di una dote che li rende particolarmente benvoluti nel gruppo: la sensibilità. Quella del bergamasco Belotti è nuovamente emersa nell’intervista a Radiorai sulla pandemia: “La famosa scena delle bare mi ha ferito il cuore e me lo ferisce ancora, quando me la rivedo davanti agli occhi. Mio fratello e mio papà lavorano nella protezione civile e hanno aiutato i veri eroi, che sono stati i medici e gli infermieri. Bisogna remare verso un’unica direzione”. Ridimensionare le rivalità del calcio e trasformarle in un valore aggiunto per la squadra: stavolta il concetto non sembra pura retorica, tra questi due attaccanti apprezzati sì, ma fino a un certo punto, se è vero che per l’uno al massimo un club è arrivato a spendere 18 milioni di cartellino (il Borussia Dortmund, e infatti alla fine lui ha firmato praticamente a vita per la Lazio) e che l’altro da 5 anni è nella stessa squadra (il Torino) perché le grandi lo vorrebbero ma poi non lo prendono. Per l’Europeo segni il migliore. E se poi segnano tutti e due, tanto meglio.
Fonte www.repubblica.it