ROMA – Un’intervista rilasciata qualche giorno prima la morte del padre Enzo. Francesco Totti si confessa sulle pagine di Vanity Fair che gli ha dedicato il nuovo numero in edicola da oggi. L’ex capitano giallorosso si racconta parlando di calcio dagli inizi con l’ingresso nella prima squadra della Roma e la stanza condivisa con Giannini, con la gioia del primo gol fino alla rottura con Spalletti e il ritiro che ancora fa male.
“La parola data vale più di ogni firma”
“Oltre i figli, la famiglia, le cose che contano davvero? La parola data. Non servono firme, contratti o avvocati. Basta una stretta di mano. Basta guardarsi negli occhi. Certe cose me le hanno insegnate fin da quando ero bambino e io a certe cose credo ancora”, ha detto Totti nell’intervista rilasciata a Malcom Pagani raccontando anche il suo rapporto con la stampa. “Non sono egocentrico. Non sono uno a cui piace parlare, che sogna di apparire o che smania per stare davanti alla telecamera come tanti altri. Preferisco fare tre passi indietro, nascondermi, sparire, se è possibile. Perché con me c’era sempre un rischio”. “A me piace scherzare, essere ironico e sdrammatizzare, ma dietro una battuta c’è spesso la verità. E la verità certe volte era meglio non esprimerla. Dire quello che sapevo, o che pensavo, avrebbe creato problemi. Avrei fatto solo danni: a me stesso e alla società. Preferivo evitare”, ha spiegato Totti che ha dovuto fare i conti anche con le cattiverie. “Per anni ascoltare tante cose false sul mio conto mi ha fatto soffrire. C’erano momenti in cui per smentire le bugie che raccontavano sui giornali, in radio o in tv, sarei andato in guerra. Sono un permaloso. Come dicono a Roma, un rosicone”. Una situazione risolta anche grazie a Maurizio Costanzo e Maria De Filippi che gli suggerirono che l’ironia gli avrebbe reso l’esistenza più leggera: “Due persone che non mi tradirebbero mai. Furono bravi a farmi capire che da un atteggiamento diverso nei confronti della pressione avrei potuto trarre solo giovamento. Gli diedi retta e non dico che da quel giorno mi sia cambiata la vita, ma quasi”.
“Io posso camminare a testa alta”
Il sogno di Totti era “essere come Giannini, il capitano della Roma della mia giovinezza. Lo identificavo come il principe di Roma, il numero 10 per eccellenza. Quando mi convocarono in prima squadra chiesi se era possibile dividere la stanza con Peppe. Me lo concessero. Era un sogno a occhi aperti. Lì, nel letto accanto al mio, dormiva la persona di cui avevo il poster in camera. Mi faceva effetto”, ha raccontato. Le emozioni dopo il primo gol : “Mi sentii come i bambini a cui regalano la pista elettrica delle macchinine. Avevo preparato un’esultanza sotto la sud dove ero stato tante volte a tifare, ma segnai sotto la nord e la dimenticai. Fu un momento di pazzia felice. Andavo a destra e a sinistra, avrei voluto le ali in quel momento”. Si diceva che nella Roma decidesse campagne acquisti, formazioni, allenatori, commenta: “Tutte cazzate – ha commentato lapidario Totti -. Non c’è un solo compagno o allenatore tra i tantissimi che ho conosciuto che possa dirmi in faccia: ‘Hai deciso, hai chiesto, hai preteso’. Camminerò sempre a testa alta perché mi sono allenato sul campo e non ho mai detto ‘fai giocare questo o fai giocare quello’. Non ho mai chiesto niente, a parte di poter vincere. E’ vero, volevo. Volevo giocatori forti come Buffon, Thuram e Cannavaro perché non avevo nessuna voglia di fare il bamboccio mentre gli altri festeggiavano. Qual è la colpa? Dov’è?”.
“Spalletti cercava solo la rottura”
Capitolo ritiro. “Sapevo che prima o poi quel momento sarebbe arrivato. Nella stagione precedente avevo capito che non avrebbero voluto rinnovarmi il contratto: però, poi, ogni volta che subentravo cambiavo le partite e facevo gol. Dopo quella con il Torino, dove entrando a 4 minuti dalla fine ne feci due, me lo rinnovarono a furor di popolo. Mi sarei dovuto ritirare in quella sera perfetta, dopo l’apoteosi, come mi suggerì Ilary e ci pensai anche. Poi dopo una notte insonne decisi di continuare, ma il rapporto con lui purtroppo era già compromesso”. Quel ‘luì è Luciano Spalletti. “Voglio fare una premessa: l’allenatore sceglie chi mettere in campo in assoluta autonomia. E’ giustamente padrone delle decisioni e io non mi sono mai permesso di metterle in discussione né di contestarle. Poi c’è un discorso di umanità e lì le cose cambiano. Più mi impegnavo, più lui cercava la rottura, la provocazione, il litigio o il pretesto. Capii in fretta che in quelle condizioni proseguire sarebbe stato impossibile. Così, per la prima volta in 25 anni di Roma, tra gennaio e febbraio, mollai”. Dopo aver rischiato lo scontro fisico a Bergamo, a oggi sulla possibilità di stringergli la mano, Totti ha risposto: “Nel calcio si sbaglia, sbagliamo tutti. Diciamo che dovrei capire in che luna sto quel giorno, come mi sveglio, se sono di buon umore”. Sul rapporto con i compagni di squadra ha ricordato: “Alcuni temevano la reazione del mister, che potesse dire: ‘Voi state con lui’. E’ triste? E’ brutto? Purtroppo è umano e i rapporti fraterni nel calcio sono ben pochi. Quell’ultimo anno comunque fu un incubo. In quei giorni iniziai a ripensare a come si comportava agli inizi, quando ero il capitano, il simbolo, il giocatore indiscusso. E capire che mi stavano dicendo: ‘Hai 40 anni, fatti da parte, non rompere i coglioni’, mi fece male”. Forse anche per questo non farebbe mai l’allenatore. “Sarebbe impossibile. Impazzirei. Sono uno che vuole sempre il massimo e pensa che certi errori in Serie A non si possano fare. Dovrei diventare severo, aspro, antipatico. Se non ci nasci, figlio di mignotta, non ci diventi”.
Fonte www.repubblica.it