ROMA – Come guidare una splendida macchina d’epoca in un traffico congestionato da Suv e macchinette: quando passa si girano tutti a guardarla. Un po’ come il titolo d’Europa dei pedi medi: si fa largo in una boxe che contempla 4 sigle per ogni titolo mondiale e propone, non sempre con cristallina credibilità, una miriade di titoletti intermedi. L’Europeo dei medi, nobile in una categoria nobile, appartenuto in passato a fuoriclasse assoluti come Tiberio Mitri e Nino Benvenuti. Attualmente ce l’ha un italiano, sportivamente parlando un po’ attempato: Matteo Signani da Cesena, 41 primavere. Lo scorso fine settimana a Caen, gli organizzatori francesi avevano apparecchiato un programmino perché il loro protetto, Maxime Beaussire, 12 anni più giovane e un palmares di tutto rispetto, lo detronizzasse senza troppi problemi.
E invece al secondo round… ”Un gancio sinistro. Lo avevamo studiato e ristudiato con il mio maestro Gianmaria Morelli. Avevamo individuato qualche punto debole del francese. E pensare che quando l’ho visto andare al tappeto, non avevo capito se avesse la possibilità di riprendersi. L’arbitro era un gigante e mi copriva la visuale”. Non si è ripreso, kot al secondo round e Palais des Sports ammutolito: ”C’era un sacco di gente, almeno tremila persone, molte mangiavano in tavoli allestiti a bordo ring. E tutti senza mascherina, quasi come se il virus non esistesse. Da matti. Comunque è stata una bella soddisfazioni, ero dato sette a uno dai bookie. Chi ha scommesso su di me ha guadagnato una bella sommetta”.
Un titolo che parte da lontano, in una terra che al pugilato qualcosa ha dato. Il forlivese Alfio Righetti andò ad un passo dalla sfida impossibile con Muhammad Ali. Francesco Damiani da Bagnacavallo ha sfiorato il miglior Mike Tyson, e poi i fratelli Stecca, tanto per citarne alcuni. Ma da Signani nessun tentativo di emulazione: ”Io la boxe non sapevo cosa fosse, in famiglia mio papà andava a caccia, vedeva ogni tanto il ciclismo, ma nessuna tradizione da ring. E’ che da piccolo ero una bestia. Nuoto, poi il solito calcio. Una pippa impresentabile, non giocavo mai. Una volta devo farlo per forza per mancanza di giocatori, e l’allenatore per galvanizzarmi mi fa tirare un rigore. Ovviamente lo sbaglio…”.
Ci vuole il caso per farlo arrivare al ‘suò sport. ”Ogni giorno mi vedo con un compagnuccio di giochi, un vicino di casa. E puntualmente lo faccio piangere, tanto che il suo babbo mi dice che con questa esigenza di tirare pugni devo dedicarmi al pugilato. Lo prendo alla lettera. Inizio a Sant’Arcangelo, nella palestra dove hanno iniziato gli Stecca”.
Partenza da vero bullo: “La palestra è uno scantinato di una scuola elementare, piena zeppa di ragazzi che si stanno allenando. Mi si fa incontro un signore anziano, è l’allenatore. Gli dico ‘sono qui per diventare campione del mondo’, mentre tutti intorno stanno zitti e mi guardano perplessi”. L’esordio un anno dopo: “Primo incontro da novizio, mi avvento sull’avversario come un pitbull. Vittoria per ko tecnico…” Poi una lenta scalata, fatta di titoli italiani e di quei titoletti di cui sopra, fino alla chance europea. Perde il derby con Blandamura in quella che sembra l’ultima chance, ma non molla ed a 40 anni di prende il titolo contro l’olandese Khatchikian. Un campione di passaggio, pensano in molti, ed invece il Giaguaro colpisce ancora in Francia.
Già il ‘Giaguaro’, un alias più da portiere di calcio che da pugile: ”Quando entro nella guardia costiera trovo uno fortissimo in tutte le prove atletiche. Lo batto in tutto, e visto che lo chiamavano il giaguaro gli frego pure il soprannome”. Fili intrecciati che portano alla guardia costiera, perché in Italia, diversamente da quanto accade nei posti felici del pugilato (Usa, Regno Unito ecc.) anche un campione d’Europa per campare deve avere un secondo lavoro. ”A scuola ero un disastro. Bocciato in seconda media, quindi una volta presa quella benedetta licenza inizio a lavorare. All’epoca ci sono i tre giorni per abilitare a fare il militare, e lì spiego che il mio sogno è fare il marinaio nel Battaglione San Marco. Faccio test di tutti i tipi, poi mi fanno scegliere una alternativa e quasi per caso mi ritrovo a fare la guardia costiera. Corso a La Spezia, siamo in quattromila, arrivo primo. Una soddisfazione. Ricordo ancora un ammiraglio che, sapendo che la mia aspirazione iniziale era un altra mi disse ‘Perché vuoi il 12 quando hai fatto 13?”.
Un lavoro, nella sezione polizia marittima, fatto di controlli a terra, che porta via tanto tempo (”Ma per preparare l’Europeo non ho preso un giorno di ferie”), dando anche tante soddisfazioni: ”Per fortuna non ho mai vissuto una tragedia del mare degli immigrati. Però ricordo che una volta abbiamo salvato una famiglia che se la stava vedendo davvero brutta su uno yacht. Padre, madre e due bambini, ci hanno accolti come salvatori. E’ che quando ti trovi in quelle condizioni, il destino non guarda il portafogli”. Una casa in campagna piena di animali tra cani, gatti e uccellini. Manca l’anima gemella: ”Ma tra lavoro e la boxe mica ho tanto tempo per ‘sistemarmi’. E poi ancora sono un bel pischello e sulla riviera romagnola l’estate qualcosa la combino…”. Una storia alla quale manca un tassello, tanto lontano da sembrare al di fuori da ogni logica: ”Il cassetto dei sogni lo lascio sempre socchiuso. Ne racconto uno. Un giorno Canelo Alvarez (fuoriclasse messicano, uno dei migliori pound for pound, ndr) si sveglia e decide di difendere il suo titolo mondiale contro il campione d’Europa. Bene, gli rispondo a Las Vegas per combattere con te ci vengo anche a nuoto…”.
Fonte www.repubblica.it