“La sospensione forzata della strategia di diagnosi e trattamento su larga scala dell’epatite C, dovuta alla contingenza della pandemia in atto, e’ un problema enorme che non tardera’ a fare sentire i suoi effetti: si e’ recentemente stimato che nei prossimi 10 anni, per effetto di questa forzata sospensione, ci saranno circa 70mila morti per patologie correlate all’epatite C”. A farlo sapere e’ il dottor Pietro Pozzoni, dirigente medico della UO Medicina Generale dell’Azienda socio-sanitaria territoriale (ASST) di Lecco, in occasione del corso di formazione ECM sulla gestione dei tossicodipendenti con epatite C, organizzato dal provider Letscom E3 con il contributo non condizionante di AbbVie.
Dopo Pozzuoli, Alessandria, Brindisi, Benevento, Siracusa, Roma, Torino, Pesaro, Pavia e Como, l’undicesima tappa sara’ quindi a Lecco, dove si svolgera’ l’incontro dal titolo ‘Buone prassi e networking nella gestione dell’epatite C in soggetti con disturbo da addiction al tempo del Coronavirus’. I corsi di educazione continua in medicina (che saranno in totale 16 su tutto il territorio nazionale) rientrano nell’ambito del progetto ‘Hand – Hepatitis in Addiction Network Delivery’, il primo progetto pilota di networking a livello nazionale patrocinato da quattro societa’ scientifiche (SIMIT, FeDerSerD, SIPaD e SITD), che coinvolge i Servizi per le Dipendenze e i relativi Centri di cura per l’HCV afferenti a diverse citta’ italiane.
“L’epatite C puo’ provocare conseguenze molto gravi anche a carico di altri organi – spiega Pozzoni – aumentando cosi’ il rischio di andare incontro a complicanze severe, come per esempio l’insufficienza renale e le malattie cardiovascolari. Il risultato e’ che i pazienti con epatite C muoiono di piu’ rispetto ai pazienti non affetti. E questo non solo per patologie correlate al fegato, ma anche per cause extra epatiche“. L’epatite C e’ dunque una patologia “davvero insidiosa” per la salute di chi ne e’ affetto, perche’ puo’ provocare conseguenze cliniche “potenzialmente molto pericolose, anche letali”.
Il primo organo che ne risente e’ “sicuramente il fegato – prosegue Pozzoni – che nel paziente con epatite C puo’ andare incontro ad un processo di progressivo indurimento del tessuto, chiamato fibrosi, che puo’ portare a comprometterne la normale funzionalita’. Quando la fibrosi e’ particolarmente grave prende il nome di cirrosi e, a questo punto, il fegato potrebbe non essere piu’ in grado di svolgere le sue funzioni, con conseguenze estremamente gravi e complicate per i pazienti, che rischiano di doversi sottoporre ad un trapianto per poter sopravvivere. Quando si sviluppa la cirrosi, poi, non dimentichiamo che c’e’ un rischio molto elevato che si sviluppi un epatocarcinoma, quindi un tumore primitivo maligno del fegato”. Bisogna quindi ricordare che oggi in Italia l’epatite C e’ “ancora la principale causa sia di cirrosi epatica sia di epatocarcinoma”.
Oggi, intanto, si stima che circa il 50% dei pazienti affetti da epatite C (che ancora necessitano di trattamento) sia rappresentato dai tossicodipendenti. “Non solo – fa sapere ancora Pozzoni – si tratta di pazienti che per lo piu’, circa 3 su 4 (quindi circa il 70%), sono affetti da forme meno severe di malattia, sono molto spesso asintomatici e non consapevoli di essere malati. È chiaro, allora, che per poter arrivare ad una diagnosi per questo tipo di pazienti e’ necessario mettere in atto strategie e politiche di screening che siano rivolte ad un numero piu’ ampio possibile di soggetti”. In questo senso l’apporto del progetto HAND e’ secondo Pozzoni “fondamentale“, perche’ grazie alla fornitura dei test rapidi ai Ser.D. territoriali “ci sara’ la possibilita’ di sottoporre a screening un vasto numero di soggetti effetti da epatite C, con uno strumento particolarmente efficace”. I test rapidi, infatti, oltre ad essere “molto validi, di elevata sensibilita’ e di facile esecuzione, sono anche ben accettati dai pazienti”. Questo vuol dire che “soltanto una piccola quota dei pazienti tossicodipendenti affetti da epatite C, che si sottopongono allo screening, sfuggono dalla diagnosi e quindi ad una successiva attivita’ di trattamento”.
HAND ha reso dunque i Ser.D. ancora piu’ pronti nell’utilizzare strumenti e risorse per contrastare l’HCV. Ne e’ convinto il dottor Franco Riboldi, direttore della UOC Rete Dipendenze dell’Azienda socio-sanitaria territoriale (ASST) di Lecco, che nell’ambito delle attivita’ di HAND parla dei punti di forza del progetto. “Sono due e fondamentali i punti di forza del progetto HAND: il primo e’ l’aver migliorato l’integrazione tra i servizi territoriali e quelli ospedalieri, perche’ non c’e’ piu’ soltanto una chiamata telefonica ma un incontro dal vivo tra gli operatori, che crea una rete vera e propria ma soprattutto un servizio migliore; il secondo punto di forza del progetto HAND e’ l’aver migliorato l’adesione di molti pazienti ai trattamenti per la tossicodipendenza, grazie ad una proposta convincente e soprattutto a terapie che possono essere risolutive per la patologia dell’HCV”.
Riboldi commenta infine la campagna di prevenzione e screening lanciata da ACE (Alleanza contro le epatiti), che prevede per i cittadini un test congiunto per Covid-19 ed epatite C. “Si tratta sicuramente di un’iniziativa strategica e intelligente – dice – perche’ permette di rendere attuale la proposta di promozione della salute in questo momento di grossa concentrazione sul Covid-19. Andare a proporre uno screening sull’epatite C potrebbe essere poco interessante per i diretti interessati, proporre invece un test congiunto rende senz’altro questa proposta molto piu’ convincente ed attuale, permettendo anche di trasmettere messaggi olistici sulla persona e sulla sua salute”. Non c’e’ quindi l’interesse “solo su uno specifico organo, ma sull’insieme di tutti gli organi colpiti da un’infezione o dall’altra, come pure verso il problema della dipendenza che e’ altrettanto importante”, conclude Riboldi.