Il maestro Maurizio Scarpa sperimenta con successo da diciotto anni la musicoterapia a Torino: “La mente è come prima ma le parole sono ingabbiate: devastante. Con noi i pazienti tornano a una vita vera in sessanta giorni. Sono sempre più giovani…”
Torino – All’inizio della collina torinese c’è il presidio sanitario San Camillo e proprio qui, ieri, si è tenuto un concerto speciale. Hanno cantato i pazienti afasici. Persone che avevano perso completamente il dono della parola in seguito a eventi traumatici (come un ictus oppure la comparsa del parkinson) e che solo attraverso la musica hanno riconquistato la capacità di esprimersi con la voce. Un piccolo grande miracolo di cui da diciotto anni è testimone il maestro Maurizio Scarpa, musicoterapeuta e appunto direttore del coro assieme a sua moglie, la violinista Margherita De Palmas.
Maestro, come è cominciato il suo percorso?
“Con la ricerca scientifica, seguendo modalità sperimentate prima qui al San Camillo poi nelle dinamiche del coro, attraverso una riabilitazione che produce risultati rapidissimi. Seguiamo un protocollo ormai solido, passando da logopedisti e neuropsicologi”.
Dopo quanto tempo un vostro paziente manifesta progressi?
“Dopo sessanta giorni di ricovero, ci sono i primi risultati. E poi si passa attraverso eventi come questi concerti, dove mettiamo insieme persone che hanno appena subito il trauma che porta all’afasia e altre che da anni hanno questo problema. Mettiamo insieme esperienze di vita diverse e spingiamo ognuno a rendersi conto di che cosa ci sia da fare”.
Che cosa succede nel momento in cui si rimane vittima di afasia?
“In sostanza, l’evento traumatico che colpisce l’emisfero sinistro del cervello incide sul linguaggio e lo azzera. Ma il pensiero resiste, resta come ingabbiato. Immaginate la frustrazione di non poter più articolare le parole. Eppure il canto viene fuori. Cominciamo con canzoni conosciute, orecchiabili, sottolineiamo l’importanza di ricominciare a sentire la propria voce. Da lì si sviluppa il canto e poi ci si riappropria dello stato verbale. In sessanta giorni i risultati ci sono e incidono sul tono dell’umore prima di tutto”.
E come avviene la guarigione? Quale musica utilizzate?
“Non c’è mai una musica preconfezionata. Ci sono gli strumenti e c’è il ritmo. Il movimento e il tamburo: è così che si ricomincia, il suono è comunicazione. E il ritmo è vita”.
Ci si riappropria del proprio corpo e non solo della voce…
“Il canto arriva attraverso la voce, ma è anche e soprattutto respiro, è controllo del diaframma e delle espressioni facciali. Ovviamente l’aspetto umano è quello che conta di più, i pazienti recuperano passo dopo passo non solo la capacità di usare la voce ma anche la voglia di vivere. E ce ne accorgiamo perché ricominciano per esempio a scegliere il vestito da mettere per il concerto”.
Riescono anche a volte a ritornare a una vita piena, a riprendere magari il lavoro?
“Questo è molto più raro, anche perché molti nostri pazienti sono over 65. Anzi, fino a dieci anni fa i pazienti erano tutti di quella fascia di età, negli ultimi anni invece sono sempre più giovani. Adesso ce ne sono anche trentenni, il male è diventato trasversale. Questo è un dato, ci sono giovani afasici! Certamente è qualcosa che ha molto a che fare con lo stress”.