Sono in navigazione verso Mazara del Vallo i due pescherecci “Medinea” e “Antartide” con 18 uomini di equipaggio liberati ieri dal governo del generale Haftar dopo la missione lampo in Libia del premier Conte e del ministro degli Esteri Di Maio. Le imbarcazioni hanno lasciato il porto di Bengasi solo in nottata, un ritardo dovuto alla necessità di ricaricare le batterie dei motori rimaste ferme per 108 giorni dopo il sequestro avvenuto il primo settembre scorso. Per compiere la traversata nel Canale di Sicilia i due motopesca, che viaggiano alla velocità dieci nodi all’ora, dovrebbero impiegare all’incirca 48 ore. L’arrivo a Mazara del Vallo, dove ieri familiari e amici dei pescatori hanno festeggiato la liberazione, è previsto per domenica.
“In questi 108 giorni abbiamo cambiato quattro carceri in condizioni sempre più difficili. L’ultimo dove siamo stati era al buio, ci portavano il cibo con i contenitori di metallo. È stato davvero molto complicato: accendevano e spegnevano le luci, a loro piacimento”. A raccontare la prigionia in Libia è Pietro Marrone, capitano della “Medinea”, nel primo contatto via radio dopo la partenza dal porto di Bengasi col suo armatore Marco Marrone.
Stamattina, dalla centrale radio porto nuovo, l’armatore è riuscito a parlare col suo equipaggio che sta navigando per fare rientro a Mazara del Vallo.
“Ieri – racconta il capitano Pietro Marrone – sono venuti a prenderci e una guardia ci ha detto: ‘Preparatevi che dobbiamo andare via’. La stessa cosa era già successo circa un mese fa, quindi nessuno di noi ormai ci credeva”.
Il capitano della “Medincea” prosegue poi la sua ricostruzione della giornata: “Dopo l’annuncio che saremmo stati liberati ci siamo preparati: abbiamo fatto la barba, ci siamo fatti prestare qualche bottiglia di shampoo, ci siamo lavati, ci hanno portato qualche tuta. Poi a bordo di un pullman ci hanno portato dalle nostre ‘varcuzze’ (i pescherecci ndr). Stanotte finalmente, dopo avere ricaricato le batterie, abbiamo acceso i motori e siamo partiti. Adesso non vediamo l’ora di tornare a casa”.
“L’ultima cella, dove abbiamo trascorso la notte prima di avere la notizia della liberazione, era buia – racconta il capitano – . Il cibo ci veniva portato in ciotole e non era buono. Abbiamo subito delle umiliazioni, pressioni piscologiche, ma mai violenze. Quando ci hanno detto che era il ‘giorno buono’ non ci abbiamo creduto”.
“Ci hanno tenuti divisi: italiani e tunisini, separati. In celle buie, senza un processo, e con indosso sempre gli stessi abiti. Ci siamo rivisti dopo 70 giorni, ed è stato bellissimo. Ma ci siamo spaventati. Quando ci hanno detto che sarebbe arrivato il presidente Conte ci hanno anche dato del cibo migliore, ma quello vero lo abbiamo mangiato ieri sulle nostre barche. Siamo felici, stiamo tutti bene, e non vediamo l’ora di arrivare a casa dai nostri familiari e dai nostri amici. Grazie a tutti”.
Fonte Ansa.it