Gli spagnoli tornano al voto per le elezioni generali il prossimo 28 aprile, per la terza volta in meno di quattro anni. L’appuntamento elettorale, che precede di un mese la “super domenica” di amministrative, regionali e europee del 26 maggio, è stato convocato dal premier socialista, Pedro Sanchez, dopo che il Parlamento ha bocciato la sua legge di bilancio, decretando la fine del governo rimasto in piedi otto mesi.
Sanchez rivendica il dialogo
“Tra due opzioni – non fare nulla e andare avanti senza legge di bilancio oppure lasciare la parola agli spagnoli, scelgo la seconda”, ha affermato Sanchez in conferenza stampa prima di annunciare la data delle elezioni. “Il governo ha l’obbligo di svolgere il proprio compito. Approvare le leggi, governare, quando alcune parti bloccano il processo decisionale, devono essere indette elezioni”, ha concluso dopo aver criticato la “tensione” alimentata dalle destre e aver difeso il dialogo con gli indipendentisti “sempre all’interno della Costituzione”.
Lo strano asse tra la destra e i catalani
Alla guida di un fragile governo di minoranza, l’economista 46enne ha dovuto fare affidamento in questi mesi sul sostegno di improbabili compagni di squadra in Parlamento, tra cui il partito di estrema sinistra Podemos, i deputati nazionalisti baschi e i decisivi 17 deputati separatisti catalani. Mercoledì i parlamentari catalani si sono uniti ai colleghi di destra per respingere il suo bilancio. Hanno ritirato il loro sostegno in segno di protesta contro il processo ai leader separatisti per il loro ruolo nel tentativo, nell’ottobre 2017, di proclamare l’indipendenza della Catalogna.
Il Psoe annunciava la fine dell’austerity
Già prima dell’annuncio di Sanchez delle elezioni anticipate, i socialisti erano entrati in campagna elettorale accusando i separatisti e i conservatori catalani di bloccare un bilancio che includeva molte misure di welfare dopo anni di austerity.
Sanchez più tardi ha accusato i parlamentari d’opposizione di aver fatto saltare “una finanziaria equa dopo sette anni di ingiustizie sociali, austerità e tagli alla spesa”. Ha, inoltre, snocciolato i successi del suo esecutivo, nonostante la durata limitata, sottolineando ad esempio l’aumento del 22% del salario minimo.
Le tre teste della destra spagnola
A fare traballare il governo socialista di Sanchez sono state le tre destre: il Partito popolare, Ciudadanos e l’estremista Vox. Domenica scorsa avevano portato 200 mila persone (45 mila per la polizia) in plaza de Colòn, a Madrid, per chiedere le dimissioni ed elezioni anticipate. La colpa più grave, secondo loro, è l’apertura del dialogo nei confronti degli indipendentisti della Catalogna. L’intento di Madrid era di “uscire dalla crisi attraverso i colloqui”. L’opposizione accusa invece di “aver ceduto alle rivendicazioni separatiste semplicemente per rimanere al potere”.
Resistere resistere resistere
Soli otto mesi è durato il governo del premier spagnolo Pedro Sanchez, che a giorni pubblicherà il suo “Manuale di resistenza”, il primo leader in carica a farlo, dove racconta gli anni delle montagne russe che lo hanno visto portare i socialisti a due schiaccianti sconfitte elettorali nel 2015 e 2016, costretto ad abbandonare la leadership del partito per essere poi rieletto, grazie a un tour del Paese, nel maggio del 2017.
Poco più di un anno dopo porta a segno il suo colpo di classe nella politica spagnola: il primo giugno 2018 il Parlamento approva la sua mozione di sfiducia nei confronti dell’allora premier, Mariano Rajoy, nonostante i socialisti avessero solo 84 deputati su 350. Convince però Podemos, i separatisti catalani e i nazionalisti baschi, a dare la spallata finale al Partito popolare travolto da uno scandalo corruzione.
Alla ricerca del terzo tempo
Sanchez, giocatore di pallacanestro, “vede la politica come una partita di basket”, scrive Enric Juliana, vice direttore del quotidiano spagnolo La Vanguardia. “Può passare dall’attacco alla difesa in pochi secondi”. Perennemente a suo agio con il sorriso smagliante, anche nell’annunciare le sconfitte, al punto da conquistarsi il soprannome “Mr. Handsome”.
Al governo mette piede il 2 giugno 2018, portandosi dietro un esecutivo con una maggioranza di donne. L’Ue lo applaude per aver aperto i porti alla nave Aquarius con 630 migranti a bordo respinta da Malta e dall’Italia. Dopo anni di austerity alza per legge il salario minimo del 22 per cento.
Mariano Rajoy
La Catalogna, ancora
La sua maggioranza, costruita da un amalgama di partiti anti-Rajoy, deve però fare i conti con la crisi catalana, spina nel fianco di ogni governo di Madrid. La sua determinazione a riprendere i colloqui con i separatisti scatena le ire delle destre che domenica scorsa hanno portato in piazza a Madrid decine di migliaia di persone chiedendo le sue dimissioni.
Il possibile ritorno del Pp
Anche se i sondaggi danno il partito dei socialisti tra i preferiti, Sanchez non ha i numeri sufficienti per avere la maggioranza, nemmeno alleandosi con Podemos. Al contrario, per i sondaggisti il Pp, il centrodestra di Ciudadanos e l’estrema destra di Vox sarebbero in grado di formare una maggioranza. E domenica in piazza lo hanno dimostrato.
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