Una ricerca AGI e Censis rivela un deciso calo della fiducia degli utenti in tutti i social, e un diffuso disinteresse per la nuova normativa europea sulla privacy
Da AGI
Il caso Cambridge Analytica ha lasciato il segno: la maggior parte degli utenti Internet non si fida della gestione dei dati da parte dei social network (69,6%) e dei motori di ricerca (60,5%). E’ quanto emerge dal rapporto “L’insostenibile leggerezza dell’esseredigitale” presentato nel corso dell’Internet Day organizzato da Agi e Censis. Maggiore è invece la fiducia che viene accordata ai soggetti pubblici, alle banche (72,5%) e ai siti di e.commerce (62%). Dal rapporto emerge anche che tre utenti su quattro (73,4%), usano Internet per mandare messaggi con WhatsApp e Messenger facendone un uso continuo nel corso della giornata, notevole anche lo scambio di email e la presenza sui social network. Come detto agli italiani piace essere connessi principalmente per comunicare tanto che un giovane su due usa lo smartphone anche quando è a tavola. Chi usa Internet lo fa a qualsiasi ora, di prima mattina (63%) e soprattutto la sera tardi (77,7%) o a letto. Da rilevare che i comportamenti ‘scorretti’, coperti dall’anonimato, infastidiscono i fruitori della Rete e tre su quattro si dichiarano favorevoli all’identificazione (con un documento) al momento dell’iscrizione a un social network.
Se quasi il 70% dei fruitori di Internet non si fida della gestione dei propri dati da parte dei social network, quelli che dichiarano che i loro comportamenti su Facebook non sono stati minimamente condizionati dallo scandalo Cambridge Analytica sono meno della metà, ovvero il 47,7% del totale. Solo una quota assolutamente residuale (2,7%) ha cancellato il proprio profilo. Il 12,8% è invece intervenuto modificando i propri comportamenti (riduzione dell’attività per evitare il tracciamento), cercando di assumere informazioni puntuali sull’uso dei dati (21,6%) e variando le condizioni della privacy (14,0%). Non scalda i cuori invece il nuovo regolamento europeo per chi acquisisce e gestisce i dati personali (GDPR): il 40,6% degli intervistati non lo ritiene fondamentale perché “anche prima era possibile effettuare scelte precise in materia di privacy”. Un ulteriore 31,6% dichiara di non conoscerlo e di non essere comunque interessato alla cosa.