(ANSA) – ROMA, 10 GIU – I bimbi colpiti hanno specifiche caratteristiche somatiche come testa grande, sopracciglia folte oltre a un ritardo cognitivo.
Acquisiscono tutte le competenze come imparare a mangiare da soli, ma iniziano a perderle prima dei 10 anni’. La sindrome di Sanfilippo è descritta come malattia da accumulo lisosomiale, legata ad alterazioni del funzionamento dei lisosomi, deputati a degradare varie molecole, e in particolare, si ritiene dovuta al mancato smaltimento di uno zucchero, eparansolfato, con diverse funzioni a livello cerebrale. Questa patologia, caratterizzata da grave e rapido deterioramento mentale e per cui non esistono cure efficaci, può essere guardata sotto una nuova lente, immaginando strategie terapeutiche con un approccio che la consideri anche una patologia del neurosviluppo. Lo propongono, su Nature Communications, i risultati di Elvira De Leonibus, ricercatrice dell’Istituto Telethon di Genetica e Medicina (TIGEM) di Pozzuoli e del Cnr-Ibbc. Il meccanismo di accumulo lisosomiale non sembra in grado da solo di giustificare altri sintomi che si manifestano precocemente rispetto alla neurodegenerazione, analoghi a quelli di disturbi dello spettro autistico come iperattività, alterazioni del comportamento sociale, comportamenti stereotipati, refrattari alla terapia comportamentale e aI farmaci antipsicotici aloperidolo o risperidone talvolta usati. Da qui l’idea di cercare meccanismi differenti alla base. E’ emerso che nei topi si registra in una particolare area del cervello un livello superiore al normale di dopamina, e un aumento dei neuroni che la producono si verifica già durante la vita fetale, suggerendo che la sindrome possa essere descritta anche come malattia del neurosviluppo. “In parallelo – sintetizza De Leonibus – a strategie come la terapia genica, si dovrebbe lavorare ad altri approcci specifici per questi sintomi”. In particolare, vi è un target rappresentato da un recettore della dopamina diverso da quello su cui agiscono gli antipsicotici in uso. “Utilizzando un composto che agisce in modo specifico – aggiunge l’esperta – si osserva una diminuzione delle alterazioni comportamentali”.
La strada verso un farmaco è lunga, ma possibili ricadute riguardano altre forme della malattia e potrebbero interessare anche forme non genetiche di autismo. (ANSA).
Fonte Ansa.it