Chi è che, facendo zapping, non rimane incantato davanti a un duetto Mina-Lucio Battisti, e magari fa un triste raffronto con Fedez o uno qualsiasi dei beginners di Maria de Filippi (tanto sono tutti uguali)? Il patrimonio immenso delle “Teche” Rai
La televisione è il vero racconto del ‘900 italiano, se si pensa che nasce nel 1954, cioè a soli 9 anni dalla fine della II guerra mondiale, le cui ferite erano ancora aperte. Forse ha aiutato a rimarginarle distogliendo gli animi da vendette e violenze, forse ha omologato linguaggio e modi di essere producendo lo sfacelo antropologico dell’Italia, come diceva Pasolini. Fatto sta che una storia del nostro Paese per immagini è non solo possibile ma auspicabile, e solo le Teche, cioè l’immenso archivio della Rai può realizzarla, recuperando il concetto di “servizio” che la tv di stato, pagata dai cittadini, dovrebbe svolgere.
«Dire che la Rai è un patrimonio comune non è uno slogan” ha dichiarato al Corriere della Sera la direttrice di Rai Teche Maria Pia Ammirati. “Stiamo vivendo una fase di rinascimento degli archivi, l’ espansione viaggia su un doppio binario: da una parte l’ audiovisivo è diventato fonte storica primaria utile agli studiosi, dall’ altro gli archivi spingono al riuso di materiali che alimentano i programmi che vanno in onda. L’ archivio dunque non ha più solo la vecchia funzione di conservazione, ma anche quella più dinamica di riuso del materiale di repertorio». E il rinnovato successo estivo dei “ritagli” di Techetechetè sta a dimostrarlo.
Se la vocazione principale di Rai Teche è quella della preservazione, fruizione ed evoluzione dell’ archivio, questa passa in primo luogo dalla attività di digitalizzazione, che da Torino si innerva negli altri poli di produzione. Trasferire in un file digitale milioni di ore di messa in onda è problema non indifferente, perché dal 3 gennaio 1954 (primo giorno di trasmissioni televisive regolari) adoggi i supporti video sono passati attraverso oltre 20 standard diversi, seguendo il cammino dell’ evoluzione della tecnologia.
La digitalizzazione però non è che l’ atto finale di una filiera che ha la sua prima stazione nel restauro, fondamentale per rendere nuovamente integre immagini che altrimenti andrebbero perse.
“La lunga strada del ritorno” dove il regista Alessandro Blasetti, già fascistissimo autore del regime, diede voce a 150 reduci della Seconda Guerra Mondiale è la rappresentazione plastica di come da una pellicola rovinata si possa ricostruire una pellicola premiata ai Focal International Awards.
Fra i grandi ritrovamenti, ci sono quelli della serata finale del Festival di Sanremo 1968 e 1967 («con un’ atmosfera molto malinconica per il suicidio di Tenco»); il recupero della prima stagione di Blitz e delle due stagioni complete della Tv della Ragazze.
«In vista del trentennale e del ritorno in tv di Serena Dandini questo recupero assume ancora più importanza» dice Ammirati. Parallelo è anche lo sviluppo di nuovi progetti volti al riutilizzo e alla valorizzazione del patrimonio archivistico: «Il patrimonio audiovisivo è infatti materia produttiva con molte storie da raccontare, non solo replica, effetto nostalgia o curiosità, non memoria inerte ma elemento generatore che, ri-elaborato, diventa racconto nuovo».
Così ecco la produzione di film documentari in collaborazione con Rai Cinema costruiti attingendo esclusivamente alla ricchezza del contenuto d’ archivio: «È un percorso che Rai Teche ha iniziato tre anni fa – spiega ancora Ammirati. “L’ idea è quella di utilizzare l’ archivio per realizzare grandi film, ricostruendo in modo narrativo un grande tema. Il bianco e nero rivitalizzato da un montaggio avvincente restituisce la fotografia di un tempo passato senza annoiare. Lo abbiamo sperimentato con I bambini nel tempo di Roberto Faenza e Filippo Macelloni, un viaggio attraverso l’ immagine dell’ infanzia a partire dagli anni 50”.
I progetti del 2018 sono un titolo sulla camorra affidato a Francesco Patierno; una storia del rapimento di Aldo Moro, per la regia di Luca Rea; un racconto inedito e originale su Federico Fellini di Eugenio Cappuccio; un grande affresco di Cristina Comencini sul mondo femminile e la sua evoluzione dagli anni 50 ad oggi». Guardare al passato per capire il presente è fondamentale, in un Paese che spesso si dimostra senza memoria.