E’ stata la maggiore attrazione del “Festival del letame” che si è tenuto a Serramazzoni (Modena). Centinaia di “degustatori” hanno selezionato le migliori qualità di quel che fertilizza e allieta la terra (letame viene dal latino “laetare”)
La tombola ha allietato anch’essa gli esperti intervenuti al Festival e funziona così: una superficie recintata viene divisa in 90 quadrati e si procede alla vendita dei numeri. Poi si introducono nel recinto due vitelli, della rara razza di vacca Bianca modenese (star della manifestazione, che produce un pregiato parmigiano Presidio Slow Food) e i quadrati numerati che vengono onorati dalle deiezioni dei vitelli sono vincenti. Ci sono state anche conferenze dedicate all’olezzante tema, incontri, dibattiti sull’agricoltura biologica e biodinamica, lezioni sulle teorie di Rudolf Steiner (autore di una filosofia dell’agricoltura prima che della scuola). Non mancava un vero e proprio “poeta del letame”, il bio-architetto Graziano Poggioli, che dopo aver sottolineato come già il nome letame sia bello, perché deriva da “laetus”, quel che rende lieta la terra, ha aggiunto: “c’è letame e letame. Anzi, purtroppo non ci sono più i letami di una volta, perché non si sa più preparare il letto alle vacche come va fatto.Il vero letame viene prodotto con la paglia o con le foglie di castagno o, meglio ancora, con quelle di faggio, e allora è l’equivalente dello champagne».
Poggioli ha proseguito con tono ispirato: «Lo pseudoletame puzza, il vero letame profuma»; «Il letame è criminalizzato dalla società»; «Il letame non è un rifiuto da smaltire, ma una risorsa della terra».
Non mancava un poster con diversi tipi di letame fotografati all’origine, come vengono espulsi dal produttore: «Guardi che fatte! Che venature! Bellissime, no?».
Le vacche Bianche modenesi sono ormai rare: producono poco latte e mangiano molto, ma carne e latte sono di altissima qualità. Nell’aspetto maestoso e tranquillo ricordano i bianchi bovini destinati ai sacrifici agli dèi cantati da Columella e da Virgilio, senza scomodare il “t’amo pio bove” di Carducci, che forse è la più brutta poesia mai scritta e la Bianca modenese non se lo merita.
Sotto: logo del Consorzio bianca modenese, e foto Edizioni Pubblicità Italia, Fondazione Slow Food